mercoledì 24 ottobre 2007

Somewhere over the rainbow

Caro diaro,
stanotte si va in Laos. Che messa cosi' pare una passeggiata. In realta' tocca prima tornare al Consolato di Kunming, ritirare il visto alle 16 e catapultarsi alla stazione dei bus, sperando di arrivarci per il torpedone delle 17. Mi dicono che il sovrapprezzo di 4 Yuan sul biglietto non garantisca l'arrivo a Muang Xai o a Luang Prabang, ma solo il risarcimento in caso di danni permanenti. E dato che l'assicurazione non copre le psicopatologie acquisite, e' una fortuna aver rimediato un libro. Altrimenti per ammazzare 30 (trenta) ore di strada dissestata avrei avuto la tentazione di evirare me stesso o il mio vicino. Mi dirai che per preservare la propria sanita' mentale ci sono letture piu' indicate dell'autobiografia di Jodorowsky. Ma qui l'alternativa era quella di Rooney.
Comunque si', hai capito bene, ho detto Laos. Si', lo so che e' un deja'-vu. Si' lo so che un collezionista di timbri non rimette piede due volte nello stesso Paese, che quando e' capitato e' stato per gioventu', per necessita' o per due minuti. Ma, sai, forse c'e' solo una calamita che mi attira piu' dell'ansia di novita'. E' la possibilita' di imboccare strade cariche di simboli. Lo so, e' una penosa scorciatoia per indirizzare le scelte, un righello di metallo freddo sullo scorrere della vita, un patetico artificio che estende sul presente la dimensione mitizzata del passato. Ma ne subisco quella musicalita' che al caso, a priori, manca. 
Insomma, prima che in Myanmar scoppiasse il bubbone, il percorso l'avevo immaginato cosi'. Perche' quell'assaggio di Laos - quattro anni fa - e' stato pieno di appunti scarabocchiati dal destino che per ignoranza chiamo coincidenze. E' stato pregno di memorabilia che volevo rievocare. O onorare, fai tu.
Lungo quel bagnatissimo ovale indocinese, io e Stefano c'eravamo affacciati fra i canali di Bangkok, avevamo tagliato in barca la Cambogia, avevamo navigato il Mekong e risalito la costa del Vietnam fino alla baia di Ha Long e Hanoi. 
Per me era stato un farmaco generico contro l'ultima mezza Delusione, per lui un casto e scapestrato addio al celibato. Io sono ancora convalescente, lui s'e' sposato con Roberta dieci giorni fa, tre anni dopo quel viaggio invernale.
Nella capitale del nord avevamo vissuto una vigilia di Natale anomala ed esuberante: famiglie di 3 elementi aggrappate alla stessa bici, gruppi di 4 o 5 ragazzini incollati su ciclomotori fumanti, affamati di strada e di marciapiedi, a menare col clacson prima di affluire in piazza, nelle vie, nei locali o attorno al laghetto per festeggiare rumorosamente vestiti da Santa Claus, mescolando sacro e profano, trombette e Madonne, foto-ricordo e veglie di preghiera. 
Il quadro somigliava piu' ad un carnevale, ad un capodanno, alla vittoria di un campionato di una squadra biancorossa, che ad una celebrazione religiosa. Poi all'una di notte tutti a casa. La sera seguente, dando retta al calendario gregoriano era il 25 dicembre 2004, un minivan ricolmo di pacchi ci doveva portare in Laos attraverso la notte e le montagne dell'interno, assecondando il ritmo sincopato imposto dall'asfalto sconnesso. 
Era la prima volta che durante quel viaggio ci allontanavamo dall'acqua. 
Salendo sulla corriera, una riflessione di Susan Sontag mi invadeva la mente senza chiedere permesso e si accomodava fra le righe del mio quaderno prima che le buche mi obbligassero ad attappare la penna e a penetrare le pagine di un romanzo francese. Che stavo divorando finche' una frase stuzzicante mi suggeri' di sequestrare il cellulare di Stefano (io avevo e ho sempre viaggiato senza) per inviare a tre amici lo stesso SMS. Conteneva una fregnaccia pseudo psicologica a sfondo autoironico, e precedeva un breve sonno funestato da un'onda gigante che riuscivo paurosamente a domare surfando sulla cresta. Io che a stento sollevo una vela.

L'indomani pomeriggio, arrivati a Vientiane, ingurgitando un piatto innominabile in un locale semideserto, ci imbattemmo in un televisorino che mostrava immagini indecifrabili, apparentemente di archivio. Quello sullo schermo sembrava un documentario sul mare, che in Laos non c'e'. 
In realta' era un servizio del tg. E anticipava che il mondo s'era svegliato nel lutto e nel terrore: vicino a noi s'era abbattuto lo tsunami, uno dei piu' catastrofici eventi naturali della storia dell'uomo. 
Sul telefonino di Stefano, spento, stavano arrivando decine di messaggi allarmati. 
"Comunicateci subito la vostra posizione" il telegramma di mio padre. 
"Qualsiasi cosa stia accadendo sulla costa, riguarda noi come la neve di Stoccolma riguarda voi" la mia risposta. Che se formulata vis-a-vis lo avrebbe spedito in galera per strangolamento del figlio. Solo due giorni dopo, rientrati in Thailandia, avremmo preso piena coscienza della portata della tragedia che ci aveva solo sfiorato e per via della quale i nostri nomi erano stati inclusi nella lista dei dispersi. Il 28 dicembre 2004 scopriro' che per qualche giorno ero finito alla voce 'missing people' a causa dello tsunami e la sera stessa, a New York, la Sontag si spegneva a 71 anni. 
(e a 'sto punto fossi in Simon Leys partirei con gli scongiuri).
Ah, il libro era di Picouly, un regalo di Piero. E la frase stuzzicante parlava del rapporto fra la mente umana e la paura della catastrofe. L'avevo piegata a uso e consumo del tragitto notturno sul furgone vietnamita, ma quel messaggio Paolo non lo ricevette mai. Avevo sbagliato un numero. Antonio invece rispose subito. Alberto tre minuti dopo, con una fiocina delle sue. E nel post scriptum citava Cassano. Rispondeva sempre, Alberto D'Aguanno. Perche' c'era, sempre. Qualsiasi cosa gli proponessi ti infilzava con una stilettata piu' acuta. E quando cominciava lui, stargli dietro era una fatica corroborante. Sapeva stimolarti e pietrificarti, coinvolgerti e esaltarti, usando lo stesso tono, la stessa ironica intelligenza, lo stesso stile di essere. Quello che generava identificazione, ammirazione, sete. Alberto dava dipendenza, mai assuefazione. Piu' che un amico, una speranza. Una presenza costante, ingombrante, necessaria. Evidentemente gia' all'epoca. E da allora, quando era a corto di cartucce, per prendermi in giro Alberto ritirava fuori quell'SMS dalla strada verso il Laos. Un piccolo manifesto della nostra frequentazione che era diventata condiscendenza, che era diventata considerazione, che era diventata confidenza, che era diventato affetto, che era diventata complicita'.

Per questo, a chi mi domanda cosa mi manca in questo viaggio, oppongo un imbarazzo triste dal quale esco con una verita' parziale. Perche' e' piu' facile parlare di nipotini e di abbracci fraterni che spiegare chi era Alberto. E se la risposta sarebbe secca come il dolore che provoca, circoscriverla a questo concentrato di emotivita' itinerante sarebbe un'offesa al vuoto che quella notte di dicembre ha creato tutt'attorno. Sono trascorsi 10 mesi e piu', non so quanto ci voglia per elaborare furti del genere. Ma ogni ricordo ficca ancora un ago in fondo ai polmoni, ogni pensiero scatena ancora una vertigine che semina nella testa tanti maledetti perche'. E gonfia ancora gli occhi di lacrime grosse e dolci.
Ecco. Mi manca quel cuore che ha deciso di fermarsi, quella vita che ha smesso di correre, 320 giorni fa, in beata solitudine. Ma nel dubbio che sia solo un brutto sogno, stasera, sulla strada verso il Laos, io ci riprovo a mandargli un messaggio. Perche' Alberto c'e' sempre. E un'occasione cosi' per sparare un colpo dei suoi - per prendermi per il culo - non se la fara' mai scappare.
Eccomi nell'abituale tenuta da combattimento per il varco della frontiera...

33 commenti:

Anonimo ha detto...

.......

Anonimo ha detto...

Sottoscrivo bobo....
.....
Il tuo pezzo e` bellissimo. bellissimo. E pieno di te, piu` di tanti altri.
Ti voglio bene.
Chiara Zucchina

andrew ha detto...

Grande Dario, mentre tu stai andando in Laos sto leggendo in questi giorni "Guerre politiche" di Goffredo Parise (ed. Adelphi, una raccolta delle corrispondenze di guerra del grande scrittore veneto.

E molte pagine sono dedicate proprio al paese asiatico ed al racconto della guerriglia comunista degli anni'70, pagine dolci nelle quali un antitotalitario ed un anticomunista come Parise viene rapito dall'atteggiamento e dal comportamento dei laotiani.
Aspetto quindi un racconto di un paese misconosciuto, una delle ultime enclaves del socialismo reale del quale sappiamo veramente poco.

E poi, sarò banale, sapevo del tuo valore ma questo blog mi ha fatto scoprire un bravo ragazzo ed un giornalista con i fiocchi.
Continua così, un abbraccio da un tuo vicino di quartiere, S.Maria Ausiliatrice/Appio Tuscolano
Ciao

Andrea

Anonimo ha detto...

sei bravissimo Dario.. bravissimo a mettere su carta le tue emozioni..
grazie per aver fatto emozionare e commuovere anche me!
Lu.

Anonimo ha detto...

Chiara Z.: ecco perchè sei innamorata di D (e tuo marito lo sa). Ma una cosa ti devo, in privato, confidare ... LO SONO ANCH'IO (e anche mia moglie ne è consapevole).

Dario: RESTA SEMPRE TE STESSO, CRESCI CON LE TUE ESPERIENZE. Grazie per quello che ci dai. Noi non possiamo fare altro che accompagnarti in questo tuo percorso.

p.s.: preferisco il solito piacione che un po’ s'annaca e un po’ sa fissia.

Anonimo ha detto...

Fulippo...Dario e` un po' l'amore di tutti:-)E ancora ci fa meravigliare...anche se pensiamo di conoscerlo ci sorprende. Anche mentre stiamo lavorando come pazzi su cose astruse (parlo di me) ci catapulta in un attimo in un altro mondo, quello suo...che pero` per un pezzetto e` pure nostro.

Certo, tua moglie e` mooolto comprensiva:-)

Chiara Z.

nesco ha detto...

...

Un abbraccio forte da quassu' : )

Anonimo ha detto...

Mitico Dario,
sembra ieri che ascoltavo la tua voce ogni mattina, adesso invece come ho tempo mi collego per vedere dove sei finito.
I tuoi racconti sono sempre carichi di emozioni, belli da leggere.
Continua così.
Un salutone dalla Scozia

Anonimo ha detto...

bravo,bravo,bravo!!!!!!!!!!!evviva Alberto!!!!!!!!!!!

Anonimo ha detto...

un bacio

Anonimo ha detto...

Ho gli occhi bagnati.

Un collega

Anonimo ha detto...

Ciao Dario.
IO, COME TANTI, SONO CHIUSO NELLA MIA STANZA D'UFFICIO MA CON LA MENTE MI TROVO IN UNO DI QUEI POSTI INCREDIBILI DOVE SEI PASSATO...QUANDO TORNERAI GIA'HO IN MENTE IL TITOLO DEL TUO LIBRO :
"DARIODIVIAGGIO.NET"!
BRAVO
IN BOCCA AL LUPO/ROMANO
Anzio 24.10.07

Anonimo ha detto...

Caro Dario, quello che hai scritto mi ha commosso, tanto, tatissimo. Il padre di Fabio Junior è stato per me un'icona: lui ha frequentato, un pò prima di me, lo stesso Liceo (si, era uno "Zucchino") in piena pianura padana dove essere romani già era tosto, figurarsi romanisti (mio fratello, suo compagno di partite di calcio, aveva scelto la strada più comoda: la Lazio). In quel Liceo non sono passati tanti romani, ma lui era un vero e proprio orgoglio di noi sparuti capitolini.
Dario, sei un grande.
Stefania

Anonimo ha detto...

Le tue parole mi hanno toccato il cuore fino all'emozione. Il tuo raccontare e raccontarti è così puro che risveglia l'assopita consapevolezza dell'esistenza di chi, come te, può ancora definirsi uomo.

Un saluto
Lori

Anonimo ha detto...

Ho avuto qualche problemino a casa tra bimba e moglie, ma ogni tanto riesco a seguirti.
Mi raccomando fai il bravo!
AMV

maila ha detto...

SONO TUA SORELLA! CHE BRAVO CHE SEI!SPERO CHE I MIEI FIGLI (NONCHE' TUOI NIPOTI MASCHI!)EVOLVANO PRESTO DALLA CONDIZIONE DI ORGANISMI MONOCELLULARI VOTATI A PICCHIARSI PER COMUNICARE TRA LORO , A QUELLA DI ESSERE UMANI ALMENO SEMI- CIVILI E SEMI-PENSANTI (INTANTO MI ACCONTENTEREI DEL SEMI!!),PRONTI A LEGGERE GLI SCRITTI DELLO ZIO.CAROLINA E' DONNA! NON HO DUBBI CHE SI EVOLVERA'! NEL FRATTEMPO TENTA STRANI GORGHEGGI ...CHE VORRA' DIRE? SECONDO ME ,GUARDA QUEI PRIMATI DEI FRATELLI E TENTA UN QUALCHE COMMENTO..TIPO :- MA QUESTE DUE SCIMMIE CHE SI MENANO TUTTO IL GIORNO,IN CHE MODO SONO CORRELATE A ME??-.DAL 31 OTTOBRE AL 4 NOVEMBRE SIAMO TUTTI E 5 A ROMA!!TUTTI GIU' IN MACCHINA...IMMAGINATI LA SCENA!BACI MAILA

Anonimo ha detto...

A vedere la foto in questo post pubblicata, cancello immediatamente quanto di bene finora detto (rimane quanto di male).
Forse che i tuoi nipoti si piacchiano per non voler riconoscere di discendere da un incrocio tra un pentito talebano e uno yeti della steppa.
Capisco le tue difficoltà ogni volta che tenti di passare le frontiere: desti preoccupazioni e sollevi perplessità.

Anonimo ha detto...

Caro Fulippo, e pensa che tu hai visto solo la faccia di Dario in questa versione yeti....Dovresti vederlo tutto intero:-0 Uno spettacolo.
baci a Maila (non ti conosco personalmente, solo dai racconti di Dario), ai primati e alla donnina.
Chiara Z.

federico ha detto...

grazie dario per farci partecipi di emozioni cosi personali.

mauro ha detto...

Grazie per l'emozione che mi hai regalato.........

Anonimo ha detto...

Per fortuna che a fine articolo hai messo quella foto un po', come dire "ostica ma anche agnostica", un po' da "condivido pienamente a meta' la decisione del mister" senno' sarei scoppiato a piangere per l'emozione che hai suscitato in me leggendoti.

Che gran uomo sei e sempre sarai!
Sono fiero di conoscerti anche se ultimamente e, con il passare del tempo, meno......sigh!!!

G&fam

Anonimo ha detto...

E' un privilegio ed una fortuna conoscerti, perchè dai tanto

MercantediVenezia ha detto...

Ciao Dario
Non ti conosco di persona e questo mi dispiace.Devi essere davvero speciale.
Sai, i miei antenati hanno già percorso quelle vie, tornando ogni volta più ricchi...ma non di vile denaro, ricchi di umanità e di animo. Da questo punto di vista tu devi essere una specie di Bill Gates.

Anonimo ha detto...

Ciao Dario,
sono Marco...un ascoltatore della radio ed un attento lettore ed ammiratore delle tue imprese.
Mi fai emozionare perchè mi riporti ai viaggi avventurosi che facevo coi miei genitori in camper quando ero piccolo.

Chissà un giorno con mia moglie Flavia e la mia piccola Gaia ci rimetteremo in viaggio anche noi!

Un abbraccio e continua sempre così

Marco

Anonimo ha detto...

L'assenza è una colpa di cui, anche volendo, non ci possiamo fare carico. Ed è questa la vera tragedia della vita: la nostra finitezza, l'essere delimitati nel tempo e nello spazio, che rappresenta il nostro vero "peccato originale". Sarebbe troppo facile consolarsi con la constatazione di continuare a vivere nel ricordo di chi ci ha amato (e ci ama ancora). Ma non possiamo farlo. Non ci possiamo permettere di indulgere in facili ipocrisie che ci diano la fugace ed effimera sensazione di riuscire a mitigare il nostro dolore. Tu, carissimo Dario, non lo fai. Di questo, Alberto, te ne sarebbe grato. E io anche. Grazie davvero.

Alessio

Anonimo ha detto...

...Perché è così che ti frega, la vita. Ti piglia quando hai ancora l'anima addormentata e ti semina dentro un'immagine, o un odore, o un suono che poi non te lo togli più. E quella lì era la felicità. Lo scopri dopo, quand'è troppo tardi. E già sei, per sempre, un esule: a migliaia di chilometri da quell'immagine, da quel suono, da quell'odore. Alla deriva.(Baricco)

Anonimo ha detto...

- Cara anonima baricchiana, l'unica consolazione e' che anche da sveglio quello era un angolo di mondo felice. E che quel poco che dovevo dire gliel'ho sempre detto.
- Caro collega, che bello sarebbe stato leggere anche la tua firma.
- Mailetta, bacia sempre dove passa Carolina. I maschi so' un macello...
D.

Anonimo ha detto...

"Cara anonima baricchiana..."

Visto che il testo non era mio, non ho pensato di firmarlo quel post...

Quello che hai scritto, ha toccato il cuore di tutti noi...le lacrime sono uscite senza freno, più complicato spiegare a chi mi stava davanti il motivo per cui piangessi...

Agenzia Habeshia per la Cooperazione allo Sviluppo ha detto...

Grande Dario,
Ti amiro per come stai afrontando il tuo viaggio, la passione con cui racconti.
Ti abbraccio
Mosè

Anonimo ha detto...

a pazzo ma ndo stai anna...ritorna qua a Roma...cosi sela annamo a vede allo stadio...diario/dario è strepitoso...ma ki te l ha fatto fa

Anonimo ha detto...

alberto vive

Anonimo ha detto...

alberto vive

Dario ha detto...

Ciao, Albe'...