martedì 24 maggio 2011

Full Metal Jacket

Hey babe, qui con me c’e’ un tipo americano che pare un cane abbandonato. Che dici, glielo diamo un strappo in citta’?”. Lo slang da marine e il fisico da Hulk Hogan di L.C. sono meno fuorvianti del mio accento para yankee. Ma per evitare di esser smascherato strada facendo faccio outing spontaneo. “Veramente sono italiano. Il passaggio me lo dai lo stesso?”.
L.C. e’ originario della Florida, e che fosse stato un pezzo da novanta delle forze speciali della Us Navy ai tempi di Desert Storm lo si vedeva lontano un miglio. Il resto del quandro si dipinge quando spunta la sua babe. Si chiama Jihan - che poi significa cosmo - viene da Alessandria d’Egitto, nasconde i capelli sotto un foulard beige stretto appena sotto l’attaccatura, ha la cantilena stridula e la camminata scattosa delle donne mediorientali, gli occhi nerissimi e tanto tanto rimmel. Dal modo in cui mi porge la mano capisco che non e’ ne’ copta ne’ timida. Fra i due e’ lui che ha cambiato sponda. “Certo! Se non mi convertivo all’Islam non ci potevamo mica sposare!” mi fa, lanciandomi uno sguardo per niente complice mentre babe si sistema sul sedile posteriore della sua Mitsubishi. Nato negli States mezzo secolo fa, L.C. e’ stato uno dei 540mila militari arrivati nel golfo persico agli ordini di Schwarzkopf, e fra una missione e l’altra ha servito tutti i Bush possibili e immaginabili fino al 2007, contribuendo non a chiacchiere alla caduta di Saddam. Poi ha optato per il prepensionamento, e senza rimpiangere l’America ha abbracciato le sure del Corano e ha sposato la donna egiziana conosciuta mentre faceva piazza pulita di iracheni. Lei in Kuwait - il quarto Paese al mondo per PIL pro capite, il primo arabo per indice di sviluppo - studia risorse umane, lui per non perdere l'allenamento passa il tempo a combattere con se stesso e con il mondo boia. Cioè sfogando il pericolante mix di conservatorismo repubblicano e anti-americanismo nelle forme classiche del teo-con reazionario e ipercritico, refrattario a qualsiasi analisi stutturata e idiosincratico a relativismi storici, capace della piu’ improbabile capriola identitaria e valoriale – quella religiosa - e allo stesso tempo impotente di fronte al piu’ banale ostacolo culturale. Intransigente, esasperato, incattivito e sempre sul filo della censura. Ma a modo suo involontariamente spassoso.

“Questo Paese non ha futuro – mi dice a bruciapelo, dopo la prima curva – I kuwaitiani sono dei fottuti scansafatiche senza rispetto per niente e nessuno. Sono degli stupidi, degli incapaci che hanno lasciato il loro Stato nelle mani degli architetti libanesi, degli ingegneri egiziani e delle multinazionali del petrolio. Sono talmente menefreghisti che hanno trasformato il Kuwait in una fogna, perché hanno delegato tutto, anche la pulizia delle strade, e chiaramente i bengalesi e i pakis che vengono pagati due spicci si adeguano all’andazzo generale, cosi' l'immondizia si accumula dappertutto. Alla gioventu’ locale basta studiare quattro anni al college per intascare ogni mese sussidi statali da migliaia di dollari che poi sperpera in fumo, alcol e prostitute filippine. I veri musulmani sono rimasti in Arabia Saudita; questi qui hanno smarrito le linee guida dell’Islam e non fanno altro che oziare e darsi allo shopping tutto il giorno”. “C’mon babe, gli stai disegnando un’immagine pessima degli arabi!” lo rimbrotta da dietro babe Jihan. L.C. ci pensa un attimo, si alza la manica esibendo una sfilza di cicatrici e tatuaggi su un braccio spesso come un palo della luce, poi passa una palanca sul cranio pelato, si alliscia il lunghissimo pizzetto rossiccio e inquadra il bersaglio. “Non degli arabi, babe, dei kuwaitiani. Sono degli imbecilli. Non ce n’e’ uno che sappia dare un’indicazione stradale corretta… E guarda, guarda come guidano: dovrebbero tornarsene in groppa ai loro cammelli, questi maledetti beduini. Il Kuwait e’ l’unico Paese del mondo in cui la gente muore in ambulanza, perche’ questi idioti non hanno rispetto per niente e nessuno! Poi – conclude scaricandomi davanti alla sede di un istituto bancario pacchianamente illuminato a giorno, con le gigantografie dell'emiro Sabah IV (all'anagrafe Al-Ahmad Al-Jaber Al-Sabah) e del principe Nawaf (al secolo Nawaf Al-Ahmad Al-Jaber Al-Sabah, e il cognome comune non dovrebbe essere casuale) – sono l’unico popolo al mondo che festeggia contemporaneamente il cinquantennale dell’indipendenza e il ventennale della liberazione. Due ricorrenze in una. Qualcuno dovrebbe dirglielo che sono ridicoli. RI-DI-CO-LI”.

Per vederli da vicino, dopo un paio di kebab semifreddi mi accomodo in uno Shisha bar armato del mio mattone sulla storia australiana. I frequentatori sono una trentina, manco a dirlo tutti di sesso maschile. Mentre una dozzina di schermi Panasonic da 42 pollici trasmette la finale di Europa League, i giovani della Kuwait City-bene aspirano distrattamente le loro pipe ad acqua, e dopo aver usurato le dita delle mani sulle tastiere dei Mac, dei Samsung Galaxy e degli i-pod, le usano per ripulire gli interstizi fra le dita dei piedi. Senza degnare uno sguardo alla partita – non e’ che si siano persi molto - ordinano bottigliette di Coca zero e di Perrier, soffiando nuvolette all’aroma di ciliegia fino a mezzanotte.

Eppure sara’ per il mare rigorosamente non balneabile e le tempeste di sabbia che riducono la visibilita’ a zero e ti ricordano sempre che sei incuneato fra deserto e delta del Tigri, fra pozzi petroliferi e gli sfiatatoi di gas naturale, sara’ perche’ a differenza di Dubai o Doha la composizione e’ meno artificiosa (e la concentrazione di obbrobri architettonici e’ inferiore solo a quella di Prishtina), sara’ per l’aria satura di umidita’, spezie e spazzatura macerata cosi’ veracemente mediorientale, sara’ per la vivacita’ del souq e del porto, per i sorrisi aperti di chi non e’ abituato alla vista degli stranieri, sara’ perche’ al ritorno mi imbatto in Nader, un tassista pashtun che ha dovuto lasciare moglie e figlie a Kabul per continuare a farle vivere, o sara’ per il passaggio di L.C., ma questa puntatina a Kuwait City sulla strada verso la calma piatta di Melbourne conferma soprattutto che devono ancora inventarlo, un posto che non valga la pena di essere visto. Purtroppo.




(prefazione - Petrolio)
Il Paese che durante i Mondiali dell'82 fece festa per l'1-1 contro la Cecoslovacchia (per la cronaca gol su rigore di Panenka, l'inventore del cucchiaio) e che durante i Mondiali del '90 fu invaso da Saddam Hussein, oggi risulta il quarto Stato più ricco del mondo. Nonostante abbia sborsato 17 miliardi di dollari come rimborso-spese per desert storm e sia l'unica nazione del pianeta senza una goccia d'acqua dolce, il Kuwait produce infatti due milioni e mezzo di barili di petrolio al giorno e gode di un PIL pro capite superiore a quello di Svezia, Giappone e Gran Bretagna. Trattandosi di dati del Fondo Monetario Internazionale, però, non so se siano deformati come il suo direttore generale.