lunedì 13 agosto 2012

L'impero del sole

Sulla prima pagina del principale giornale australiano (si chiama The Australian, sempre per quel discorso sui limiti congeniti dell'onomastica nazionale) un boxino mostra quotidianamente la percentuale del riempimento delle dighe statali. Quando mi sono trasferito a Melbourne, l'Australia era reduce da un quinquennio di siccità, i bacini idrici del Victoria erano pieni al 34% e il Paese era tappezzato di pubblicità tipo questa, per sensibilizzare la gente a risparmiare sull'acqua. Del resto l'omo ha da puzza'.
Oggi, dopo i 20 mesi più umidi della storia australiana, le dighe del Victoria si sono riempite mediamente al 75%, fra queste ce ne sono quattro (Maroondah, O'Shanassy, Yan Yean and Sugarloaf) che sono al limite della capacità e la gente ha cominciato persino a risciacquare i piatti. In tutto il 2011 a Sydney ha piovuto il doppio che a Londra, nel Queensland gli incendi sono stati sostituiti dalle alluvioni e neanche nel deserto del Western Australia si chiede più alle famiglie di usare 155 litri d'acqua al giorno, birre escluse. In Australia ne è venuta giù come nella giungla del Borneo. Considerando poi che nei mesi in cui me la sono squagliata sono incappato in Bangladesh, Filippine e Papua Nuova Guinea, posti in cui piove anche 300 giorni l'anno e cadono fino a 9 metri di acqua, capisco da dove viene tutta questa voglia di andare in aeroporto alle 4 di mattina. Giappone e Corea del Sud saranno noiosi come una partita a ramino e costosi come un'assicurazione sul Kymco People, ma vuoi mettere il gusto di svegliarsi col sole alto e arrivare a fine giornata tutto asciutto?

TOKYO
Svegliarsi col sole alto resta un obiettivo al di la` delle mie possibilita`. E questo  perche` Onnis e` gia` stato dappertutto a parte l`enorme mercato del pesce di Tsukiji, dove l`imperdibile asta del tonno comincia alle 5 di mattina, dove noi arriviamo puntuali e dove ci  rispediscono al mittente perche` abbiamo beccato uno dei due giorni di chiusura dell`anno. Un sentito grazie all`impeccabile ufficio del turismo di Asakusa, al quale gliel`avevo pure chiesto. Del resto dovevo aspettarmelo, visto che la mattina avevano consigliato di andare a vedere  l`allenamento delle giovani speranze del sumo, rivelatosi in realta`un tour guidato di un`ora SOLO in giapponese della scuola e delle palestre, senza neanche l`ombra di un tizio sovrappeso. A forza di mezze giornate perse cosi`, Tokyo e` volata senza lasciare traccia. A parte la scultura rappresentante (forse) un peperone d'oro sul quartier generale della birra Asahi e la pubblicità di un reggiseno sponsorizzato Lady Oscar. Stamane riproviamo il mercato del pesce e poi puntiamo il Fuji.

p.s. Per mia fortuna a Onnis non piacciono le giapponesi ("sono tutte cozze, tranne quelle dei porno"), quindi almeno la sera non si tira tardi.

MT FUJI
Anche arrivare asciutti a fine giornata è diventata una chimera. Nel momento in cui siamo scesi da Thomas the Train, sul cielo è comparsa la nuvoletta dell'impiegato che ha coperto la cima del Fuji e ha scaricato un acquazzone che assicura a me il titolo di mago della pioggia o di gatto nero, a seconda del punto di vista. La vicenda abbonda di lati positivi: intanto la tormenta è meglio prenderla in stazione che lungo un sentiero di montagna, e poi comunque sia in tutta Kawaguchiko non c'era un letto libero. Perciò non c'è rimasto che risalire su Thomas the Train, ripassare per Otsuki, Tachiwaka, Shinjiuku e tutte le stazioni dell'orbe terracqueo e infilarci in un capsule hotel di Ikebukuro mente tutto attorno omini e donne lo facevano parecchio strano. L'indomani c'ha piovuto in testa anche a Shibuya. E poi a Kyoto, 500km più a sud.

p.s. Il meteo prevede pioggia per tutta la prossima settimana. Poi Onnis - che giustamente non ha il k-way - se ne va.

HIROSHIMA&NAGASAKI
Dopo aver pescato due geishe per strada a Gion, due neonazisti francesi vestiti da kapo su un autobus di Kyoto e due Testimoni di Geova giapponesi sotto l'Atomic Bomb Dome di Hiroshima, ho improvvisamente timore di Nagasaki. E non perche' quella bomba di 67 anni fa (lanciata qui solo perche' sull'obiettivo-Kokura c'erano troppe nuvole, perche' l'Imperatore non si era arreso dopo Hiroshima e perche' Stalin decise di rientrare frettolosamente in guerra - insomma per una serie di coincidenze fantozziane) era al plutonio, manco al'uranio.

Il ficcanaso in azione a Tokyo
NIKKO&Co.
Tutto nella norma, a Nagasaki sta per arrivare un tifone. E` per questo che dopo due giorni nella citta` piu` sfigata della Terra torno su a Tokyo. Cosi`, con un`unica botta da 8 ore di Shinkansen, mi accerto prima che Onnis salga sull`aereo e poi che il viaggio ricominci. Come se finora fosse stato solo un brutto sogno. Quando mi risveglio, mi ritrovo finalmente circondato da gente che sa il fatto proprio come Zaza Balashvili, georgiano, classe 1991, campione europeo (e dice mondiale, ma ho i miei dubbi) di sumo, venuto a Tokyo per cercare un club dal quale farsi ingaggiare.


SHIMONOSEKI
E` la classica citta` giapponese senza capo ne` coda, una specie di centro commerciale senza aria condizionata frequentato da giappi che dormono sulla metro e che ricoprono le copertine dei loro manga per non farti sapere cosa leggono. Ma che se per caso sfogliano riviste porno tutte ste remore non se le fanno. Con quattro templi in croce la scambieresti per Kyoto, con qualche ragazzina vestita da Barbie come antidoto alla depressione, anche per Tokyo. Come in tutto il Paese i treni spaccano il secondo, ma mancano completamente i lavavetri e i cassonetti dell`immondizia (e le mosche, non sara` che le due cose vanno di pari passo?). In compenso nella dirimpettaia Kokura - la citta' alla quale il 9 agosto 1945 era destinato il fat-boy poi sganciato su Nagasaki causa maltempo - c`e` una replica del Duomo di Venezia, con tanto di campanile di San Marco e colonna col leone alato. A Shimonoseki c'e' invece solo il traghetto notturno per la Corea. Basta e avanza per renderla particolarmente attraente.

JAPAN>SOUTH KOREA
La traversata doveva durare 13 ore, ne sono bastate 7. Tembin, il cugino di Isaac che si aggirava per il mar cinese meridionale, ha spinto il traghetto al doppio della velocita' e en passant ha rovesciato qualche peschereccio e provocato una ventina di morti. Chiaramente Tembin ha portato alla cancellazione di tutti i collegamenti con l'isola di Jeju e mi ha obbligato a dirottare su Gyeongju. Dove sono arrivato sotto un acquazzone, manco a dirlo.

GYEONGJU
La chiamano il museo a cielo aperto della Corea. Il che da un lato fa ridere perche' piove che Dio la manda, quindi aperto de che. E dall'altro fa immediatamente intuire che la Corea riuscira' ad essere meno fotogenica del Giappone. E dire che io ci provo pure a scalare montagne alla ricerca di buddha scolpiti nella roccia (che crolla, per cui arrivato in cima ignoro gli avvertimenti e scavalco pure la recinzione) e a marciare nei campi alla ricerca dei monaci che conservano i segreti del sunmudo, un'arte marziale di ispirazione zen. Il sancta sanctorum di Gyeongju invece e' il parco dei tumuli, una serie di tombe dei regnanti Silla - i primi ad unificare le genti della penisola - che ritrovate anche in Cina fanno ritenere (ai coreani) che il culto dei morti sia stato introdotto nell'Impero di mezzo dagli abitanti di qui. In pratica che la Corea sia la culla della civilta' dell'estremo oriente.
Kwan, che gestisce l'Hanjin Hostel, prima mi racconta che della dinastia reale coreana lui e' un discendente diretto, poi sviene, crollando come un albero abbattuto, a faccia avanti, fra i miei piedi. Non si fracassa il naso sul pavimento in resina solo perche' a differenza di molti coreani ancora non se l'e' ritoccato col bisturi, ma ne esce con un lago di sangue, una commozione cerebrale e 20 punti di sutura sul mento. Tanto per 24 ore nell'ostello ci sono solo io. Poi in camerata si presenta Nunzio Annunziata, 32 anni frigorista salernitano arrivato in Corea dopo 3 mesi di autostop attraverso la Russia e finito a Gyeongju dopo una settimana di meditazione in un monastero della zona. A riportarlo sulla terra dopo sette giorni di silenzio assoluto ci pensano cinque ore filate di chiacchiere, durante le quali esce fuori anche che in passato c'e' capitato, su dariodiviaggio. A sua discolpa non aveva digitato ne' "come faro sesso nei bus in Asia" ne' "ma 9 per 9 fara' 81?".

JEJU-DO
Quando un annetto fa usci' la lista delle "nuove" 7 meraviglie naturali del mondo l'intrusa era questa isola vulcanica sudcoreana. Mai sentita. Vabbe' che nel Cenozoico aveva un'attivita' eruttiva tale che ancora oggi si puo' passeggiare fra i tunnel dove scorreva la lava, ma possibile che un posto ignorato anche dai dvd della Gazzetta (ce credo, li feci io) reggesse il confronto con Komodo, con le cascate dell'Iguazu, con la baia di Ha Long, con l'Amazzonia, con la Table mountain di Citta' del Capo e col fiume sotterraneo di Palawan? Possibile che questa Jeju fosse meglio del Kilimangiaro e delle Galapagos? Soprattutto... avendo visto le 7 meraviglie del mondo moderno e le altre 6 naturali, ti pare che una volta in Corea mi perdo proprio l'unico posto che potrebbe valere il prezzo del biglietto?
Ora, dopo due giorni di cieli grigio-chiaro e bibimbap*, ma anche di cascate, crateri estinti e passaggi in auto (3 autostop a segno in 5 ore, manco fosse la festa mia) l'impressione e' che l'isoletta meriti. Ma resta il fatto che chi l'ha preferita a Canaima e al salto Angel usa roba di prima qualita'.

* premesso che si colaziona in piedi e si salta il pranzo, due giorni fa un expat di Nottingham, tal Meffiu, mi ha consigliato di provare il bibimbap, il tipico piatto misto coreano con un po' di tutto accompagnato da riso, pasta di peperoncino e kimchi assortiti. Ieri sera, avendo finito di ciarlare quando nel quartiere era tutto chiuso, ho bissato lo stesso bibimbap nello stesso locale a gestione familiare. Oggi, poi, entro nell'unico ristorantino di Seogwipo alla mia portata e a gesti le perpetue mi fanno capire che la loro specialita', anzi l'unico piatto sul menu, e' il bibimbap

SEUL (che si pronuncia So-ol)
Appena arrivato ho baciato la terra, come Gelindo nell'88, finche' il gatto strabico dell'ostello non ne ha approfittato per rifarsi le unghie sui miei pantaloni.
Quando ho alzato la testa al cielo era gia' troppo tardi: il ciclone Bolaven che in Corea del Nord ha fatto 48 morti si e' abbattuto su tutti noi a sud del 38mo parallelo, scaricando 95 centrimetri di pioggia in mezza giornata e riducendo la mia Nikon in fin di vita. A 24 ore dal diluvio universale ho ancora scarpe, calzini e pantaloni fradici, e la fotocamera non ha ripreso ancora coscienza.
A proposito della quale, dopo i Testimoni di Geova di Hiroshima sono stato accalappiato da due ragazzotti della sedicente Chiesa di Dio, che impugnando la 'Nuova Versione' della Bibbia mi hanno tenuto un seminario ad un incrocio stradale. In soldoni i due mi hanno spiegato che - Dalla Genesi al Libro delle Leveletions - dai Testi sacri emerge chiaramente che Dio e' una donna. Gli ho detto che mo' me lo segno.

PANMUNJOM
E' il paesello al centro della terra di nessuno fra le due Coree, quella chiamata zona demilitarizzata con sottile gusto del paradosso. Fu qui che 60 anni fa si svolsero i negoziati per mettere fine al conflitto tra il Nord - spalleggiato dai "volontari" cinesi e assistito dall'Urss - e il Sud, supportato militarmente da Washington e dalle Nazioni Unite. L'armistizio al quale si giunse nel '53 in realta' non fu firmato dall'allora leader di Seoul, Rhee, perche' la Repubblica democratica si sentiva ancora in guerra ed era convinta di arrivare all'unificazione della penisola per via militare. Magari con l'atomica americana. La sensazione di conflitto permanente rimane, d'altra parte dal Nord continuano spesso a piovere missili. O asce, come quella con la quale un soldato di Pyongyang trucido' il capitano americano Arthur G. Bonifas nell'agosto del '76. Da allora e' intitolata a lui l'installazione militare alle porte dal confine, alla quale si accede passando sotto una sequela di cavalcavia ripieni di tritolo e pronti a saltare in aria in caso di un'invasione di carri armati.
A nord di Panmunjom si vede Kijong-dong, il villaggio-propaganda della Repubblica popolare, un insediamento disabitato con un pennone da 160 metri, che era il piu' alto del pianeta prima di essere superato da quello tagiko di Dushanbe. A sud invece sono sparpagliate le case modeste di poche centinaia di contadini, che per il disturbo (la scuola elementare c'e', ma all'appello mancano supermercato, cinema e bar dello sport, e alle undici di sera scatta il coprifuoco) intascano dal governo di Seoul un sussidio da 80 mila dollari l'anno. Basta dimostrare che si trascorre almeno due terzi dell'anno core a core con gli ultimi, veri, comunisti della Terra.
Le misure di sicurezza per arrivare a Panmunjom sono da Guerra Fredda (al marine Anderson ho chiesto se hanno controllato il passaporto anche ad Obama, che in gran segreto e' comparso a Camp Bonifas a marzo scorso - nonostante tutto ha capito che scherzavo), la frontiera invece e' tragicomica.
Due pattuglie si fronteggiano vis-a-vis, separate da una striscia sul terreno, un po' di ghiaia e una casupola. Spalleggiati da americani che vorrebbero tanto essere altrove ("Si', qui ci si annoia"), quelli del sud sono rigidi, impassibili e costantemente in posa da taekwondo. Quelli del nord invece sono impegnati in attivita' pratiche tipo l'istallazione di telecamere.
La casupola appartiene ufficialmente per meta' a Seoul e per meta' a Pyongyang. Entrarci significa fare un passo in Corea del Nord e rischiare di essere sequestrati dai militare della Repubblica popolare. Io l'ho fatto. Per 1 minuto e mezzo, ma l'ho fatto.