martedì 11 maggio 2021

Mamma, ho perso l'aereo

All'aeroporto di Pechino c'era tutto. Tutto a parte il volo - anzi l'aereo, anzi proprio tutta la compagnia aerea - che doveva riportarmi a casa dopo quel mese e mezzo di viaggio. In tasca avevo una carta di credito che non funzionava e giusti giusti gli spicci per chiamare i miei da un telefono pubblico. Li svegliai alle prime luci dell'alba. "Non mi aspettate, perche' domani non arrivo", dissi a mio padre, ancora semi incosciente. Poi la cornetta emise un plop e la comunicazione cadde.
Quel viaggio era partito male. Il primo volo - Roma-Zurigo - aveva ritardato di un'ora, e se ero riuscito a salire sul successivo Zurigo-Mosca lo dovevo solo ad una corsa da quattrocentrista. Ero schizzato fuori dal velivolo al momento dell'apertura del portellone e ed ero arrivato appena in tempo sull'aereo diretto verso la capitale russa, per cui non mi capacitai di come fu possibile che in Russia arrivo' anche il mio bagaglio imbarcato nella stiva. Il volo Swiss atterrava a Shemeretyevo, il principale scalo moscovita, da cui avrei dovuto raggiungere Domodedovo, un altro degli altri 4 aeroporti della citta'. Quello distante 80km. 
Le acrobatiche operazioni di pulizia del treno
Considerando che da Domodedovo mi sarei dovuto imbarcare a bordo di un volo della Pulkovo airline e che esattamente un anno prima, il 28 luglio 2002, lo stesso volo Mosca-San Pietroburgo della Pulkovo in partenza da Domodedovo si era schiantato al suolo provocando la morte di tutte le persone a bordo tranne due, che nel 2006 le vittime dello schianto di un altro volo Pulkovo saranno 170 e che anche quell'aeromobile sul quale salii nel luglio 2003 era decrepito, con i sedili ridotti a brandelli e gente che a bordo fumava impunemente, m'ero gia' sentito fortunato di aver portato la pellaccia a San Pietroburgo.
Dopodiche' ci sarebbero stati i marpioni di Mosca, la Transiberiana, l'accampamento con i bambini nella steppa mongola e l'ultima settimana piena a Pechino e dintorni, con una gita nel tratto piu' autentico e pericolante della Grande Muraglia, a Simatai. La capitale cinese non era ancora diventata una meta del turismo di massa e tanto i locali quanto i visitatori provenienti dal resto della Cina non nascondevano la sorpresa e l'emozione di fronte al primo muso di etnia non Han che incrociavano. nella loro esistenza 
Il Paese era ancora alle prese con i postumi della SARS, ma Pechino mi offri' edifici splendidi e gente entusiasta, saccapelisti in gamba e cibo buonissimo a buon prezzo. Tutto quello che potevo desiderare alla fine di un viaggio cosi' lungo e intenso che giunse al suo epilogo la mattina di Ferragosto del 2003.  
Con le ultime banconote avevo saldato il conto dell'ostello e mi ero diretto in pullman verso l'aeroporto, da dove sarei rientrato a Roma via Zurigo. 
Il tabellone all'ingresso del Terminal indicava che il check-in del volo Swiss Air era previsto al banco 19. Mancavano due ore e mezza alla partenza, ma al counter non c'era nessuno. Pensai dipendesse dal fatto che gli assistenti di terra non erano ancora pronti e che quindi i passeggeri in partenza si fossero accomodati altrove. Ma quando al decollo mancavano due ore e al bancone non c'era ancora l'ombra dello staff e dei passeggeri, scatto' il primo campanello d'allarme.      
"Sa mica se questa informazione e' corretta?", chiesi ad un dipendente dello scalo indicando il monitor sopra il bancone del check-in.
"Si'", rispose.
Dopo 8 giorni a Pechino avevo capito che non significava nulla. Se gli asiatici non amano dire di no, ne' come diniego ne' come ammissione di ignoranza, i cinesi sono asiatici al cubo. 
Capaci di rispondere si' a qualsiasi domanda, a prescindere.
Anche al banco informazioni mi rassicurarono, confermando che il volo era in partenza e che il check-in era previsto al counter 19, come riportato sopra di noi dal tabellone delle partenze. Inutile provare a spiegare loro che al 19 non c'era nessuno, e che al volo mancava ormai un'ora e mezza e che nella migliore delle ipotesi il check-in era stato spostato altrove. Ne controllai un bel po', senza trovare quel che cercavo. 
"E' impossibile che abbiano spostato il check-in senza avvisare tutti", mi dissi.
"E' impossibile anche che abbiano cancellato un volo senza avvisare tutti", aggiunsi.
"Pero' quel che e' possibile, e' che abbiano cancellato un volo senza avvisare ME".
Mi misi alla ricerca dell'ufficio della Swiss Air che trovai, grazie all'indicazione di un uomo delle pulizie, in fondo ad un corridoio stretto pieno di scatoloni. Era chiuso, e sulla porta a vetri oscurata dall'interno, c'erano appesi annunci che risalivano ad alcuni mesi prima. 
Tutta colpa della SARS. L'epidemia di polmonite era stata scoperta a Guangdong da un medico italiano nel novembre 2002 e aveva ucciso 770 persone in 17 Paesi, contagiando migliaia di persone soprattutto in Cina. Il terrore di quel coronavirus aveva ridotto dell'80% il numero di passeggeri su quella tratta, pertanto la Swiss Air a fine maggio aveva deciso di sospendere i collegamenti con Pechino almeno fino a meta' agosto e poi era passata alla fase successiva, chiudendo l'ufficio cinese. Per quale motivo nessuno mi avesse informato era un mistero. 
Come ne sarei uscito, invece, un grosso punto interrogativo.
In quel momento, dal tabellone elettronico scomparve il riferimento al mio volo. E in attesa di decidere cosa fare, utilizzai le ultime monetine per telefonare a mio padre.
L'ultima volta risaliva al viaggio in Libano, quando avevo chiamato i miei genitori per avvisarli che le bombe israeliane cadute sulla mia testa avevano fatto la barba al palo. L'anno seguente, avevo evitato di contattarli quando ero finito nell'occhio del ciclone della sommossa popolare in Nepal, ma il TG5 mi aveva preceduto e aveva spiattellato la notizia in prima pagina. Come mi muovevo sbagliavo, ma a quel punto intui' che l'unica certezza e' che non sarei atterrato a Roma quando avevo previsto e che certamente non li avrei raggiunti in Sicilia nei tempi concordati. Mio padre era ancora nel dormiveglia, la conversazione duro' 20 secondi, dopodiche' mi ritrovai a valutare le prossime mosse.
Non m'ero mai trovato in quella situazione e non avevo mai sentito nessuno raccontare circostanze analoghe, ma mi sembrava pressocche' scontato che la Swiss si sarebbe dovuta assumere le sue responsabilita' e che mi avrebbe per lo meno rimborsato il ritorno a casa. Andai pertanto alla biglietteria e puntai un volo KLM in partenza dopo qualche ora. Mi chiesero 800 euro one-way, in pratica il budget di tutto il viaggio. Tirai fuori la carta di credito e il lettore me la rifiuto'. Tre volte. 
"Non posso farci niente, mi disse l'operatore".
L'affare s'ingrossava.
Bloccato all'aeroporto di Pechino senza un volo per casa e senza un'autorita' che si facesse carico delle sue responsabilita', mi ritrovavo anche senza un euro in tasca e impossibilitato ad attingere ai miei fondi.
"Annamo bene", dissi. 
Qualunque fosse il problema della carta, non avrei potuto risolverlo in aeroporto. Non mi restava che tornare in citta' e rifugiarmi nell'ostello. Per farlo, avendo terminato tutti i contanti e non potendo usare la VISA, dovetti anche fare autostop, pratica altamente illegale in Cina.
Prima pero' mi assicurai che l'indomani sarei potuto uscire dal Paese, cioe' bloccai un volo in partenza il giorno seguente. In cambio mi impegnai con il bigliettaio a presentarmi l'indomani con i contanti, una garanzia per lui che la transazione sarebbe andata in porto e per me una speranza che la carta avrebbe ripreso a funzionare.
Marco, Erik ed io nella camerata del backpackers di Pechino
Nel backpackers trovai uno dei ragazzi con i quali avevo stretto maggiormente quella settimana. Marco Fumian era un essere squisito e una volta laureato in lingue e letterature orientali, con il suo mandarino fluente aveva deciso di stabilirsi nel Regno di Mezzo. Si era appena alzato quando, con sua somma sorpresa, mi vide rispuntare dalla porta di servizio. Gli spiegai per sommi capi la vicenda, poi tramite il suo telefono riuscimmo a parlare con un operatore italiano della VISA, il quale all'alba del 15 agosto non impiego' neanche tanto per rendersi conto che la carta non aveva funzionato in aeroporto perche' non era stata sbloccata correttamente. Ci penso' lui, e Marco mi accompagno' all'ATM piu' vicino, dal quale ritirai l'equivalente di 800 euro: 80 banconote da 100 yuan/reminbi che nel portafoglio ci stavano appena.
'Tutto e' bene quel che finisce bene", si lascio' scappare quando tornammo in ostello.
Oltre a Marco, avevo fatto la conoscenza di una ragazza israeliana, Ayelet, ma soprattutto avevo stretto profondamente con una coppia di belgi con i quali avevo condiviso per 4 giorni lo scompartimento tra Mosca e Irkutsk, e che poi - dopo il periodo di volontariato in Mongolia - mi erano venuti persino a prendere alla fine della Transiberiana al mio arrivo a Pechino. Erik e Nele (alias Merete) erano diventati praticamente compagni di viaggio e - nonostante fossero una coppia - mi avevano persino invitato a dividere con loro la camera privata dell'ostello. Le affinita', pero', finivano li'. In quel momento emersero tutte le nostre profonde differenze culturali.
"Ma che sei matto??? Non esi-ste!". Quando raccontai loro come avevo risolto il problema, sbottarono.
Se io, da cittadino 27enne italiano avevo interiorizzato e fatto mio il concetto di disservizio, se ero stato talmente abituato alle storture del sistema che non avevo ne' lo stimolo, ne' la voglia ne' la determinazione di oppormi al fato e di far valere i miei diritti, loro venivano invece da un Paese agli antipodi.
"Domattina ci svegliamo all'alba e andiamo nell'ufficio Air China", mi dissero dopo aver spulciato internet alla ricerca di informazioni sulla consorella della Swiss.
"Loro ti DEVONO portare a casa", dissero.
L'indomani alle 8 in punto eravamo negli uffici della compagnia aerea di bandiera cinese, ricevuti da una giovane donna distinta. Piu' io le chiedevo umilmente di risolvere il problema, piu' Erik e Nele alzavano la voce e la posta. Alla lunga ottennero quel che secondo loro mi spettava, ma tirarono la corda oltre misura. 
"In base alla norma dell'aviazione civile e dei contratti sottoscritti al momento dell'acquisto dei biglietti, non siamo tenuti a portarla a casa ma a offrirle un'alternativa - disse la donna -. Quel che posso proporti e' un volo Air France in partenza fra 3 ore e mezza. Prendere o lasciare". Ovviamente presi e uscimmo dall'ufficio. Prima di andare in aeroporto, pero', avevo un'ultima incombenza: dovevo cambiare in euro tutte quelle banconote cinesi, con le quali non avrei fatto nulla e che in Europa venivano viste ancora come carta straccia. Mi misi in fila in una banca, per poi sentirmi dire alla fine di una lunga attesa che "l'istituto poteva vendere yuan, ma non acquistarli".  
Calcetto a piazza Tienanmen con la gioventu' locale
Mi restava un malloppo da 800 euro in valuta cinese col quale avrei potuto fare tanta birra.
 "Te li prendiamo noi". A togliere ancora le castagne dal fuoco fu l'amico belga. Lui e la compagna avrebbero viaggiato per l'Asia per un anno intero e avrebbero trascorso almeno un mese in Cina. Quei contanti gli potevano tornar comodi. Ovviamente non avevano euro a portata e di mano, altrettanto ovviamente io avevo fretta, per cui non mi restava che fidarmi dell'amicizia che avevamo stabilito nell'ultimo mese, allungare loro tutti i soldi, salutarli calorosamente e scappare in aeroporto. Come all'andata, arrivai trafelato a bordo dell'aeromobile diretto a Parigi. Mi sistemai nella fila di destra, accanto a mamma e figlia di origine kazaka, e appena l'aereo decollo', sospirai. 
Nel farlo, mi tolsi anche le scarpe.
In quell'istante, dai tre bocchettoni sopra le nostre teste, comincio' a fuoriuscire un'aria fetida, una via di mezzo tra il marcetto teramano e il bruss del piemonte. Mentre mi impegnavo ad interrompere almeno il getto diretto verso di me, notai che madre e figlia sbirciavano i miei piedi mugugnando. Poco a poco quel bofonchio divento' un brontolio e si allargo' a macchia d'olio nella pancia dell'aereo. Pochi minuti e decine di persone alzarono la voce, additandomi come il responsabile di quell'olezzo e intimandomi in mandarino di rimettermi le scarpe. Fu inutile provare a spiegare che non era umanamente possibile produrre quel puzzo di casu marzu e caciocavallo. Feci prima a rimettere le scarpe provando dopo qualche minuto a dimostrare che le mie scarpe erano si' sprofondate nella merda di yak, ma intanto erano passate due settimane e poi l'eventuale fetore non sarebbe certamente stato sparato in faccia da un getto d'aria. 
Ero appena stato vittima di un episodio di razzismo.
A Parigi rimasi 3 ore, che poi divennero 5. L'aereo accumulo' un enorme ritardo in partenza e nonostante questo riuscirono a perdere il mio bagaglio, - una specie di contrappasso dopo il miracolo dello zaino arrivato a Shemeretyevo. Sulla scaletta, un'hostess esperta mi diede il benvenuto a bordo del volo Alitalia.
"Anche tu sei stato a Disneyland?", mi chiese. Feci per rispondere, ma non seppi da dove cominciare. 
Atterrato a Roma dopo le 10 di sera, aspettai invano il mio Invicta, poi dovetti sporgere denuncia di smarrimento. "Quando arriva, dove lo spediamo?", mi chiese l'addetto al lost&found.
Era una bella domanda. Ero esausto, ma nonostante tutto l'indomani avrei cercato in ogni modo di raggiungere i miei a Kamarina. Se fossi partito, l'indirizzo di casa sarebbe stato inutile, mentre quello del villaggio in provincia di Ragusa suonava piu' o meno 'Contrada Randello, provinciale 85'. Quello zaino aveva bazzicato mezzo mondo, ma non sarebbe mai arrivato tutto intero in quel vicolo cieco perpendicolare alla strada tra Scoglitti e Punta Braccetto. Optai allora per il pied-a-terre di mio zio. Il quale aveva i suoi impicci, tant'e' che l'Invicta finira' per fare su e giu' quattro volte tra l'aeroporto e via Cerveteri senza essere mai consegnato. Quando finalmente lo recuperai, due settimane dopo, dalle sue viscere emerse qualcosa di simile all'aria del bocchettone del volo Air China. Ma stavolta c'entrava davvero lo yak.  
L'Invicta viola all'arrivo a Pechino
Scopriro' solo uscendo dall'aeroporto che proprio quella sera l'amica Chiara Zucchina aveva deciso di pianificare il futuro con l'amico Giancarlo il Biondo e che poi - presa dal panico - non se l'era sentita di guidare fino a Fiumicino. Scopriro' solo dopo che i collegamenti con la citta' terminavano a mezzanotte, per cui mi tocchera' trovare un passaggio gratis per il centro e poi da li' incamminarmi fino a casa. Dove arrivero' alle 2 di notte e mi trovero' - nell'ordine - a bacchettare Chiara, ad aggiornare i miei genitori per piu' di 20 secondi, a inviare una mail ai belgi con i dettagli del mio conto e un'altra alla Swiss Air chiedendo lumi sul misfatto, a cercare la sponda di mia sorella e soprattutto un volo per Catania che comportera' il rimettersi in marcia gia' l'indomani all'alba. 
No, non ero stato a Disneyland. Ma a modo mio mi ero divertito un mondo.
Kamarina 2003 - Lupin ed io, reduce dalla Transiberiana 

P.s. Mentre mi trovavo da qualche parte tra Pietroburgo e Pechino, il direttore artistico di una radio aveva cercato di raggiungermi telefonicamente. Non avevo risposto per il banale motivo che solo 10 anni dopo mi sarei deciso a viaggiare con un cellulare. Lo avevo richiamato solo a fine agosto, dopo essere rientrato dalla coda estiva a Kamarina. Essendo ormai in dirittura d'arrivo il mio percorso universiario, avevo accettato la proposta dell'emittente ad una condizione: che mi venisse concesso tempo per svolgere ricerche per la mia tesi di laurea. Essendo il tema molto fresco e mancando un'adeguata bibliografia al riguardo, avrei dovuto svolgere le ricerche sul campo. E trattandosi di una tesi di laurea dal titolo Le conseguenze sociali della crisi in Argentina, il 12 novembre 2003 sarei partito partito per Buenos Aires assentandomi dal lavoro per un mese e mezzo. Swiss Air mi inviera' una lettera di scuse molto poco sentite e accompagnate da un buono da 150 franchi da spendere su uno dei loro voli entro 100 giorni. Non lo utilizzero' mai.    

2 commenti:

Anonimo ha detto...

...solo tu!

Ingegnere

Anonimo ha detto...

me l'hai postato per ricordarmi le mie colpe??? :-)
Ricordo bene l'estate del 2003...tornassi indietro giuro che non lo rifarei. Ti verrei a prendere!!!

Zucchi