martedì 30 giugno 2015

Citizen Castaldo

Una mattinata grigioscura di dicembre ho capito che l'ansia da prestazione è come andare in bici. Una volta sperimentata, non si dimentica. Lonsdale street, angolo Spring, secondo piano, Ministero dell'Immigrazione, test per la cittadinanza. Prima di consegnare un faldone con tutti i passaggi di frontiera degli ultimi 10 anni, ho ripassato quello che viene chiamato study book.
In realtà un opuscolo sottile come il manuale della lavastoviglie.
Tra una sequela di date, personaggi e informazioni che in altre circostanze sarebbero entrate da una parte con la stessa velocità con la quale sarebbero uscite dall'altra, una ridda di ovvieta'. Tipo il funzionamento di una democrazia parlamentare, la tripartizione dei poteri e la laicita' dello Stato. Roba che ai rifugiati beluci, azara e dinka deve sembrare la formula di Eulero, ma che all'occidentale medio fa ripensare con nostalgia all'ora di educazione civica. Quando potevi tranquillamente dedicarti al picchetto e al fantacalcio.
Una passeggiata di salute, a walk in the park, 'sto test.
Tra l'altro - mi dicono - se lo fallisco al primo giro posso riprovarci subito, con un tutor che mi tiene la manina. Ecco perche' dal 2007 l'hanno affrontato in 650mila e sono stati bocciati giusto 7.200. Ed ecco perche' se toppo mi conviene espatriare assieme alla mia spocchia eurocentrica e sparire senza lasciare traccia.
E l'ansia pompa.
Perche' la procedura e' a ostacoli e prevede che prima passi per un funzionario di origine salvadoregna. Il quale insiste col chiedermi per quale motivo uno debba andare in vacanza in Libia, in Yemen e in Oman.
Quando mi siedo davanti al pc ho la salivazione azzerata.
Quant'e' che non mi ritrovo faccia a faccia con un test a risposta multipla? In inglese, per giunta? Per una prova anonima e facile, poi, dove non te la puoi prendere neanche con la piaga del nepotismo? E dove in 15 minuti devi azzeccare 16 risposte su 20, mica due o tre. Cosi', sulla prima domanda, mi blocco. Leggo, rileggo e ririleggo.
Poi la leggo ancora, dall'inizio, con calma.
"Quali sono i colori della bandiera australiana?" chiede, se ho letto bene.
Respiro, ragiono, rileggo,
Dev'esserci una trappola.
Forse qualche stella e' bordata di nero, il blu in verita' e' elettrico, oppure azzurro. O forse cobalto. E il rosso e' pompeiano. Niente, tra le risposte multiple 'pompeiano' non c'e'. Clicco su "Bianco-rosso-blu". Risposta corretta. Sono passati 44 secondi. Per rispondere correttamente alle altre 19 domande - un filino meno scontate - servono altri 2 minuti e mezzo. Una ogni 8 secondi.

Dopo sei mesi e un giro di fax per spiegare che a maggio vado all'estero (al Foro Italico, mica in Corea del Nord, fossi scemo), nella cassetta della posta arriva finalmente l'invito a comparire. La cerimonia si tiene nel municipio di Preston nel giorno piu' corto dell'anno, il 21 giugno. Il che per il mio dirimpettaio cantonese (che ha dovuto rinunciare alla sua cittadinanza cinese) e' metafora della luce che sta per illuminare la sua esistenza, per me del buio nel quale e' precipitata la mia. Assieme ad altri 79 immigrati mi ritrovo a giurare fedelta' ai principi costituzionali della federazione e del Commonwealth, a mugugnare quel che poco che so dell'inno nazionale e a spazzolare un tiramisu' gigante a forma di nuova Patria. Non prima di aver stretto la mano al sindaco di Darebin, al signor Rajish (che pero' non so chi sia, visto che mentre parlava cercavo di ripassare le parole dell'inno), ad un ragazzotto che mi regala una spilletta, ad un tizio che mi offre una piantina, ad una signora che mi allunga un attestato e a tal Fiona Patten, deputata del Sex Party che li' per li' lancia occhiate de fuego a tutti i maschi presenti, e che poi inviera' una letterina ammiccante a tutti i neo australiani, perche' 80 voti vergini fanno parecchio sangue.
Faccio fatica a respirare la solennita' del momento, e non me ne puo' fregare di meno di farmi immortalare mentre stringo le mani a tutti i delegati, ma visto che gli altri 79 non sono del mio stesso avviso, si esce dal Municipio quando e' gia' sera. Dopodiche' bastano altri 250 dollari e un paio fototessere nelle quali faccio uno sforzo disumano per non sorridere, e il passaporto e' pronto.
D'ora in poi, se un Ministero degli Esteri dimentica di convalidarlo e mi manda in giro per il mondo con un documento irregolare, ho comunque un altro passaporto da mostrare alla pattuglia ucraina che mi ferma per atti osceni in luogo pubblico.
Se il diluvio sul Kilimangiaro ne cancella la data di scadenza, ne ho sempre un altro da sventolare sotto al naso del doganiere di Fiumicino che mi accusa di averlo fatto apposta (eppure la data di emissione parla chiaro, pirla).
Se al confine tra Aqaba e Eilat imbrattano una pagina col visto israeliano posso ancora completare il puzzle col Pakistan, il Sudan e gli altri Paesi che altrimenti non mi farebbero entrare.
Se poliziotti turchi mi divelgono un pagina, se funzionari mongoli si lamentano perche' non riesco ad assumere la stessa espressione della foto, se gabellieri moldavi mi tengono a bagnomaria perche' sono entrato illegalmente passando dalla Transnistria, se ne dimentico uno nella tasca interna della giacca e me ricordo quando la lavatrice e' arrivata alla centrifuga, in tutti i casi ne ho uno di riserva. Da lasciare sotto la doccia di un ostello di Chicago. 
Di buono c'e' anche che se finisco nella morsa dell'ISIS, d'ora in poi ho il doppio delle possibilita' che un governo si muova per togliermi dai guai. Ma ho pure il doppio del doppio del doppio delle chances che contro di me si scaglino i leoni da tastiera. Di buono c'e' che adesso diventero' parecchio piu' bello agli occhi di un sacco di italiane, ma e' pure vero che se continuo a frequentare australiani diventero' palloso come un film di Lars von Trier. E allora non mi restera' che diventare pure ricco. O prendere una terza cittadinanza.
Quel che mi lascia perplesso, adesso, non e' tanto lo sdoppiamento dell'identita' e della personalita', il raddoppiamento delle tessere elettorali e del tempo necessario per spiegare da dove vengo e che sono si', italo-australiano, ma mica come quelli la'. No, quel che non capisco e' cosa rappresento da oggi in termini statistici. Per dire, se domattina schiatto per parassitosi o trafitto da un'alabarda mentre piscio dalla finestra come Remigio, divento un numero per le statistiche di Roma, di Canberra o di tutte e due? 
p.s. questo non e' l'inno. L'inno e' peggio.