lunedì 29 agosto 2016

Glourious Basterds

Tarantino spezzerebbe il racconto in due volumi. Il primo su una partita normale fra due donne estrose, bizzose, vecchia scuola, simili nella loro differenza ostentata. 
Da una parte la russa di Spagna, che ha appena messo fine alla vita sportiva di Justine Henin e finora è andata a manetta. Dall'altra la Leonessa di Milano, che come il vino buono sa sfruttare il tempo ma quest'anno a Melbourne ha remato tanto e frullato poco. Ha faticato a ‘sentire la palla’, dice. E' andata al terzo con la Parra Santonja, è andata a due punti dalla sconfitta contro Rebecca Marino, vancouveriana di sangue nisseno, canadese dell'anno ma sempre 104 del mondo. Ha anche dovuto annullare 3 set point alla Niculescu, la campionessa di Parigi, aggrappandosi al torneo con le unghie pur di presentarsi alla tredicesima puntata della saga contro la russa. Ma sul veloce la Schiavo non hai mai battuto la Kuznetsova. Anche se la testa di serie buona la sua, anche se in classifica la precede di 20 posizioni, insomma, non è favorita. 
La storia è quella di un ottavo di finale degli Australian Open, la location è l’Hi Sense Arena. Gli organizzatori non hanno offerto alle ultime due vincitrici del Roland Garros il palcoscenico della Rod Laver e le hanno spedite sull'unico impianto che non richiama una gloria della racchetta, ma dei condizionatori cinesi. Lo stadio è un cubo polifunzionale, freddino nell’accoglienza di due vecchie conoscenze che le copertine se le sono guadagnate sempre e solo per le loro vittorie. Il primo capitolo del film andrebbe infarcito di flash back sui precedenti recenti in Fed Cup – la battaglia nella finale di Mosca vinta dalla russa, la rimonta dell’azzurra sul rosso di Castellaneta – sul sudore invernale di Sveta in terra catalana, sull'ascesa nell'Olimpo della milanese, che tra un trionfo parigino e un tweener newyorchese s’è ritagliata un ruolo che per anni le è stato riconosciuto solo in Italia, quello di personaggio del circuito, Non più solo grinta e cuore, ma genio della lampada, una specie in via d'estinzione. 
Il film si snoderebbe parallelamente al racconto dei primi due set, che a dispetto del punteggio (6-4 per la Schiavone, 6-1 per la Kuznetsova) sono tanto tirati da durare quanto il primo Kill Bill, 106 minuti. Tirati, non belli. Perché l'azzurra continua a sprazzi a non sentire la palla e perché la russa alterna frustate di dritto a badilate in tribuna. Ma siccome nello sport come nelle arti visive la bellezza sta anche nella carica emotiva, la partita tiene tutti incollati alle sedie e l’Hi Sense via via si riscalda. Nella specialità del coinvolgimento passionale sono due delle interpreti più limpide e antitetiche, la formica e la cicala. 
La bellezza, insomma, non manca. Poi, sui titoli di coda, arria anche il pathos: Schiavo e Sveta rimandano il verdetto al sequel,un terzo set indimenticabile. Un capolavoro tecnico, agonistico, umorale. Un capitolo a parte, un film da vedere e rivedere. Un epilogo lungo tre ore, esatte e memorabili, scandite dagli interventi del medico e dell’occhio di falco, da 31 palle break e da 6 match point annullati, dai boati di un pubblico prima partecipe, poi coinvolto e infine in visibilio e soprattutto da un tennis champagne. Gli highlights del match
Quando vivi un pomeriggio così intenso e ammiri gesti del genere, finisci per essere completamente coinvolto dalla vicenda umana e sportiva e non senti la fatica” dirà nei corridoi il catalano Enric Molina, suo malgrado giudice di sedia del match. In campo, invece, la fatica si accusa eccome. Ma l’effetto è catartico. Liberate dalle zavorre psicologiche, le due lasciano andare il braccio e mandano a referto mucchi di vincenti. Un applauso a scena aperta ad ogni mazzata della moscovita, un boato ad ogni ruggito della leonessa: nell’entusiasmo della folla c’è il piacere di chi sa apprezzare, la soddisfazione di chi ha una storia da raccontare e l’orgoglio di chi se ne sente co-protagonista. Col senno i poi, i tre match point consecutivi per la Kuznetsova sull’8-7 e gli altri tre per la russa sul 9-8 sembrano il classico omaggio ai B movies, i film dal copione scontato in cui l’eroina riesce a salvarsi con la pistola puntata alla tempia. Alla Tarantino, appunto. 
Col senno di poi, quando la Schiavone esce dal tunnel, il finale della storia diventa chiaro e il pubblico si schiera dalla sua parte. Lo sanno tutti che vincerà lei. Quando sul 13-13 le telecamere si soffermano sull’orologio a bordo campo e fermano l’attimo fuggente sulle 4 ore e 20 minuti, nella testa di Francesca rimbalza un incoraggiante ‘Brava, fisicamente sei una roccia!’, in quella di Svetlana un deprimente ‘La dovevo chiudere prima!’, fra i giornalisti si incunea il panico della statistica da verificare (superate le 4 ore e 19 di Zahlavova Strycova-Kulikova) e da aggiornare, e fra il pubblico la sensazione dolcissima dell’ ‘Io c’ero’. Non resta insomma che trovare un finale adatto al racconto, perché ormai è scritto che sia Francesca ad entrare nella storia dalla porta principale. E’ scritto perché una campionessa non può accontentarsi di tenersi dietro entrambe le Williams e di eguagliare il best ranking italiano di sempre, con la quarta posizione che la attende dopo gli Australian Open, non può accontentarsi di aver annullato 6 match point alla Kuznetsova e di aver disputato la più lunga partita nella storia degli Slam femminili. 
Prima di scrivere la parola FINE, la Schiavone deve vincerla. E per farlo impiega altri 24 minuti. Così, solo quando anche l’orologio ha deciso di partecipare a modo suo alla narrazione, indicando un tempo che più facile non si può – 4 ore e 44 minuti – la milanese mette la firma con una volée bassa al trentesimo game del terzo set, al trecentocinquattottesimo punto del match, e chiude con le braccia al cielo e un sorriso così.  Sogno un giorno di far vedere a mio figlio il dvd della partita” dirà. Già, come se ne bastasse uno.

Tratto da Supertennis n. 2 - febbraio 2012