Per questo finisco per percorrerla a piedi, la costa da Weligama a Galle. In due giorni macino una quarantina di chilometri di stick fishermen, di pescatori in bilico su pali piantati nell'oceano, di pagode, templi indù, chiesette e moschee in ordine di frequenza, di manifesti del sorridentissimo Mahinda Rajapaksha e di pubblicita' delle quattro aziende di telefonia mobile (i cellulari sono così diffusi che in caso di tsunami il governo ha previsto un bel messaggino collettivo di allarme), di corvi e pipistrelli, di varani e vipere dal metro e mezzo in su, di qualche vacca sacra e qualche benedetta mangusta, di palme e scoiattoli, di una pletora guest house e di negozi allestiti con le rimesse degli emigrati, di branchi di cani randagi e di bus lanciati a razzo a rifarti la piega, visto che non c'è un metro per i marciapiedi. Come sopravvivano tutti 'sti animali all'avanzata del cemento non lo so. So solo che fra Matara, il punto più meridionale dell'isola, e Negombo, il più occidentale, si sgomita in 200 chilometri di asfalto opprimente, risparmiato solo dove sono stati allestiti i piccoli cimiteri per le oltre 40.000 vittime dello tsunami. Dopo l'Indonesia questo è il Paese che ha pagato il tributo più alto a quella catastrofe. E so che arrivo a Galle con una maglietta ridotta a un cencio tempestato di granelli di polvere e catrame. Non voglio sapere cosa ho nei polmoni. Quando un fruttivendolo di Kogalla mi chiede quale sia il mio problema, gli indico la testa. Da queste parti un problema diffuso: 50 anni fa un monaco ammazzò il presidente della Repubblica e ancora 20 anni fa Terzani la chiamava l'isola folle. Forse nel senso che se non sei matto come Casul - lo scemo di un villaggio, Polhena, dov'è di dominio pubblico il flirt tra un bonzo e una donna sposata - ci diventi, scemo. E gli incontri che fai non è che aiutino. Io per esempio incontro una poliziotta che cerca di vendermi un appezzamento di terreno, un batterista convinto che il cancro si sconfigga con infusi di foglie di papaya, e Luka. Cinquantenne dal fisico tirato, berlinese, separato, è la mente che ha ideato i velotaxi e che da Unter den Linden li ha esportati in tutto l'occidente (tranne che in Italia, ne ha anche discusso coi sindaci di Milano e Firenze ma ha sbattuto contro l'altolà della 'mafia dei tassisti'), quindi dopo un divorzio e una specie di crisi mistica nel 2008 ha ceduto il marchio e il business e ora vive soprattutto per yoga e meditazione. "I nemici da combattere sono la paura, la rabbia e il desiderio" mi confessa, prima che il suo iphone cominci a suonare a tutto spiano. Prima è la figlia, poi la nuova compagna, quindi il tizio che gestisce uno dei suoi alberghi. Anche Vivianne è tedesca e divorziata. Ma per via delle sue facoltà dagli Inuit della Groenlandia si fa chiamare Shaman e dai cingalesi Shanti, la 'pace interiore'. A conferma del suo basso profilo, sul biglietto da visita della sua guest house sostiene che ti aiuterà a trovare il cammino che porta dentro il vero te e sul biglietto da visita del suo centro massaggi di Francoforte si autodefinisce 'maestra di vita'.
I dottori K.B. Shantha, Pereira, Dimmaka e tutta la compagnia di giro si definiscono invece 'dottori' perche' lo sono proprio, dottori. Ma sulla spiaggia di Unawatuna si comportano come liceali in gita, tambureggiando e cantando a squarciagola per ore, mangiando pollo alla trinitrina e riempiendo bicchieri su bicchieri di Smirnoff purissima per spegnere l'incendio. Shantha del resto si è laureato a Mosca, e tutt'ora invita anestesiste russe a fare stage in un ospedale di Colombo. E quelle gli lasciano ricordi su ricordi. Così quando sotto un diluvio che neanche nei video dei Take That la spiaggia rimane deserta, sulla costa si sentono solo loro rumoreggiare sotto l'effetto della vodka. Loro e me. Salutandomi a fine giornata, Shantha mi propone alticcio, complice e cameratesco di celebrare l'addio al celibato nel resort di un suo amico, assieme a cataste di gamberoni freschi, liquori di importazione e le amorevoli cure delle sue stagiste moscovite.
E visto che in vita mia ho ricevuto proposte peggiori, qualche giorno dopo trovo anche il modo di andarci, a Wadduwa. Ma poi con un mozzico sulla lingua e una martellata più a sud passa la paura. E sotto l'ennesimo diluvio mi ritrovo in una struttura eco-friendly desolatamente deserta assieme a sei singalesi villosi, a consumare cinque portate di pesce e frutti di mare annaffiate da un brandy prodotto su licenza francese. Poi resto pure a dormire. Offre la casa, è il mio addio al celibato.
Pubblicata nuova gallery: Sri Lanka e Maldive 2010