Tutte le compagnie aeree, su tutte le tratte, accettano prenotazioni oltre la capacità degli aeromobili. La prassi è un po' perversa, ma ha una sua logica matematica e un nome - overbooking - da testo di economia aziendale. E se al profano può sembrare un'eresia, per Altroconsumo è una pratica "talmente diffusa che non se non ci siete mai incappati siete dei fortunelli".
Forse, ma un conto è vendere una manciata di biglietti di troppo su un Capodichino-Alghero, sapendo che non si presenteranno mai tutti i passeggeri e che alle brutte ne spedisci un paio sul prossimo volo. Un'altra cosa è stampare trenta biglietti in eccesso sul tuo unico charter che sorvola l'Atlantico tra la festa della Liberazione e quella dei Lavoratori. In quel caso è statisticamente più probabile che all'aeroporto si presentino tutti e che l'overbooking si riveli una mossa avventata. Anzi una cagata pazzesca. Fra l'altro pure illegale.
All'aeroporto di Cancun - per esempio - quel pomeriggio s'erano presentati proprio tutti tutti. E a tutti tutti era stata data pure la carta d'imbarco. Gli addetti allo scalo s'erano accorti della frittata solo quando un pullman aveva scaricato la cricca dei Francorossiani, la casta dei superprotetti, quelli delle vacanze all-inclusive sulle riviera Maya ai quali per definizione non si poteva dire di no.
Così al gate c'erano 27 persone di troppo. E la notizia del disguido faceva presto il giro del Quintana Roo: c'è una compagnia che l'ha fatta grossa e non sa a che santo votarsi.
In Messico era la sera del 30 aprile, in Italia la notte del primo maggio. Sul posto di lavoro non si trovavano manco i panettieri, figuriamoci qualcuno in grado di prendersi la responsabilità del pasticciaccio e di decidere chi imbarcare e chi lasciare a terra. Improponibile sorteggiare, improponibile tagliare fuori gli ultimi arrivati, meno che mai coinvolgere qualche altra compagnia. C'è chi ci campa, sugli scivoloni altrui.
E il papocchio dell'Eurofly era talmente marchiano che i passeggeri facevano spontaneamente fronte comune, sventolando una lista di questioni di principio al grido di: tutti per uno e uno per tutti, l'unione fa la forza, parimpampum, o si parte tutti o non si muove nessuno.
Io potevo solo stare alla finestra. Con il mio biglietto farlocco da fratello di un'assistente di volo e cognato di un altro*, avevo contribuito all'overbooking nella misura del 3,7%. Non abbastanza da farmi sentire in colpa, ma abbastanza da consigliare di farmi una forchettata di cacchi miei.
Forse, ma un conto è vendere una manciata di biglietti di troppo su un Capodichino-Alghero, sapendo che non si presenteranno mai tutti i passeggeri e che alle brutte ne spedisci un paio sul prossimo volo. Un'altra cosa è stampare trenta biglietti in eccesso sul tuo unico charter che sorvola l'Atlantico tra la festa della Liberazione e quella dei Lavoratori. In quel caso è statisticamente più probabile che all'aeroporto si presentino tutti e che l'overbooking si riveli una mossa avventata. Anzi una cagata pazzesca. Fra l'altro pure illegale.
All'aeroporto di Cancun - per esempio - quel pomeriggio s'erano presentati proprio tutti tutti. E a tutti tutti era stata data pure la carta d'imbarco. Gli addetti allo scalo s'erano accorti della frittata solo quando un pullman aveva scaricato la cricca dei Francorossiani, la casta dei superprotetti, quelli delle vacanze all-inclusive sulle riviera Maya ai quali per definizione non si poteva dire di no.
Così al gate c'erano 27 persone di troppo. E la notizia del disguido faceva presto il giro del Quintana Roo: c'è una compagnia che l'ha fatta grossa e non sa a che santo votarsi.
In Messico era la sera del 30 aprile, in Italia la notte del primo maggio. Sul posto di lavoro non si trovavano manco i panettieri, figuriamoci qualcuno in grado di prendersi la responsabilità del pasticciaccio e di decidere chi imbarcare e chi lasciare a terra. Improponibile sorteggiare, improponibile tagliare fuori gli ultimi arrivati, meno che mai coinvolgere qualche altra compagnia. C'è chi ci campa, sugli scivoloni altrui.
E il papocchio dell'Eurofly era talmente marchiano che i passeggeri facevano spontaneamente fronte comune, sventolando una lista di questioni di principio al grido di: tutti per uno e uno per tutti, l'unione fa la forza, parimpampum, o si parte tutti o non si muove nessuno.
Io potevo solo stare alla finestra. Con il mio biglietto farlocco da fratello di un'assistente di volo e cognato di un altro*, avevo contribuito all'overbooking nella misura del 3,7%. Non abbastanza da farmi sentire in colpa, ma abbastanza da consigliare di farmi una forchettata di cacchi miei.
Perché va bene simpatizzare col pueblo unido, ma arrivare a protestare per un disservizio quando uno ha pagato solo per le tasse aeroportuali è un tantino pretenzioso.
Va a finire che scoprono che sei un parente, passi per correo e fai la fine di Benjamin Malaussène.
E va bene empatizzare col popolo oppresso, ma visto che il mio biglietto non garantiva il posto, non potevo rinunciare al volo, perché sarei partito solo se a bordo ci fosse stato posto.
E il posto - al momento - non c'era neanche per chi il biglietto lo aveva comprato a prezzo pieno.
Senza contare altri dettagli non da poco: non avendo un datore di lavoro catalogabile come umano né un contratto di lavoro catalogabile come contratto di lavoro né un orario appetito dai colleghi, in radio ero atteso al varco, altro che supplemento di sole e mare.
Senza contare altri dettagli non da poco: non avendo un datore di lavoro catalogabile come umano né un contratto di lavoro catalogabile come contratto di lavoro né un orario appetito dai colleghi, in radio ero atteso al varco, altro che supplemento di sole e mare.
Quindi pensare di uscire allo scoperto, di offrirmi come volontario per restare a terra e proseguire la vacanza, era fuori discussione.
Che poi una vacanza vera e propria, la mia non lo era stata. Si era trattato di una toccata-e-fuga di 4 giorni per esercitare le funzioni di padrino al battesimo di Jamila e di 3 notti insonni per via dei due compagni di stanza: zio Daniele e nonno Piero.
Due rinoceronti col mantice incorporato, dotati del superpotere di addormentarsi un secondo dopo aver appoggiato la capoccia sul cuscino e di russare a ritmo alternato dal tramonto all'alba. Salvo poi farsi svegliare dal furgoncino del mondezzaro e lamentarsi perché con tutto quel rumore non si poteva proprio chiudere occhio.
Per tutto questo, fra i presenti all'imbarco c'era chi si angosciava al pensiero di perdere l'abbronzatura prima di rientrare al lavoro, chi di dare da mangiare la pappa al pupo, chi di vedere se per caso la Juve avesse segnato 3 gol nei primi 8 minuti della partita scudetto di Siena per intervento divino o di Moggi. Io pensavo sopratutto che salire sull'aereo significava riuscire finalmente a dormire. Solo che mentre io i problemi miei me li tenevo stretti per me, quelli degli altri, poco a poco, facevano bollire le acque già agitatine.
Il principio trotzkista "O partono tutti o non parte nessuno", nel giro di un'ora e mezza evolveva nel principio socialdemocratico scandinavo "Sistemateci su vari voli, basta che partano tutti!", che a sua volta dopo un altro paio di ore degenerava nel principio forzista "Fate come vi pare, ma io devo partire - domani ho una riunione di lavoro alla quale non posso mancare". Dopo quattro ore, insomma, la polizia messicana faceva irruzione all'aeroporto di Cancun. C'erano da separare i pasionari dell'o-tutti-o-nessuno da gli irriducibili dell'-io-sì-voi-fate-come-ve-pare. E soprattutto c'era da separare gli addetti allo scalo dagli uni e dagli altri. E se la polizia messicana si incazza - si sa - volano manganelli.
Anche per questo, quando era ormai buio pesto, i 27 volontari disposti a farsi pagare un supplemento di vacanze pasquali dalla compagnia aerea si trovavano pure, ma prima di partire bisognava andava a scovare uno ad uno i bagagli degli spiaggiati, borse e valigie che avevano superato il check-in da una vita ed erano mescolate a centinaia di altre borse e valigie in giro per l'aeroporto.
Prima di mezzanotte, l'Eurofly imbarcava. Io salivo per ultimo, se non altro perché era inutile prendere posto quando l'unico posto che mi sarebbe spettato sarebbe stato quello eventualmente vuoto. E uno vuoto, con mio sommo piacere, in penultima fila, spuntava. Quando lo scorgevo, incredulo, mi ci abbandonavo con una goduria paragonabile al rigore di Steve Nicol il 30 maggio 1984.
Lo zio Daniele in uno dei rari momenti in cui non russava. La risata isterica è figlia al sapore della mia sangria. Perché ce ne vuole a trovarne una che sa di aceto, a Playa. |
Il principio trotzkista "O partono tutti o non parte nessuno", nel giro di un'ora e mezza evolveva nel principio socialdemocratico scandinavo "Sistemateci su vari voli, basta che partano tutti!", che a sua volta dopo un altro paio di ore degenerava nel principio forzista "Fate come vi pare, ma io devo partire - domani ho una riunione di lavoro alla quale non posso mancare". Dopo quattro ore, insomma, la polizia messicana faceva irruzione all'aeroporto di Cancun. C'erano da separare i pasionari dell'o-tutti-o-nessuno da gli irriducibili dell'-io-sì-voi-fate-come-ve-pare. E soprattutto c'era da separare gli addetti allo scalo dagli uni e dagli altri. E se la polizia messicana si incazza - si sa - volano manganelli.
Anche per questo, quando era ormai buio pesto, i 27 volontari disposti a farsi pagare un supplemento di vacanze pasquali dalla compagnia aerea si trovavano pure, ma prima di partire bisognava andava a scovare uno ad uno i bagagli degli spiaggiati, borse e valigie che avevano superato il check-in da una vita ed erano mescolate a centinaia di altre borse e valigie in giro per l'aeroporto.
Prima di mezzanotte, l'Eurofly imbarcava. Io salivo per ultimo, se non altro perché era inutile prendere posto quando l'unico posto che mi sarebbe spettato sarebbe stato quello eventualmente vuoto. E uno vuoto, con mio sommo piacere, in penultima fila, spuntava. Quando lo scorgevo, incredulo, mi ci abbandonavo con una goduria paragonabile al rigore di Steve Nicol il 30 maggio 1984.
E quasi altrettanto effimera.
Nel giro di 5 minuti, prima scoprivo che non c'era la cena per me, quindi - appena decollati - che il mio sedile spettava all'assistente di volo col turno di riposo. Per i motivi di cui sopra non facevo una piega e mi accomodavo sul famigerato strapuntino, l'unico posto al mondo dove dormire è difficile come dividere una stanza con lo zio e il nonno di Jamila. Ma quando l'aereo era in volo, le luci spente, i passeggeri sprofondati nel sonno e tutta la ciurma tirava il fiato, anche lo strapuntino si riempiva in ogni ordine di posto. Il volo Cancun-Milano della notte fra il 30 aprile e il primo maggio 2006 me lo facevo in piedi e a stomaco vuoto.
Fino alle 4 di notte. Sulla soglia dei crampi muovevo infatti a compassione una hostess marchigiana, obbligandola moralmente a ravanare nella ghiacciaia e ad estrarne un residuo bellico, un'unica, ultima vaschetta di tortellini alla besciamella, di fronte alla quali mi usciva una lacrimuccia.
"Però c'è un problema - mi faceva lei, ignara di tutti i miei altri problemi - sono al mio primo volo e non so come far funzionare il forno elettrico". Due tentativi di scongelare quel mattone col perfido marchingegno erano solo tempo sprecato. Tanto mi sarei mangiato pure la vaschetta di alluminio.
Il resto veniva giù a cascata, una cosmica conseguenza naturale delle cose: di primo maggio non puoi mica sperare che abbondino gli autobus da Malpensa alla stazione centrale, né che ci siano tutti 'sti treni fra Milano e Roma, né che sull'unico pendolino serale in partenza ci sia posto in seconda classe. Né che se arrivi a Termini all'una di notte qualcuno ti venga pure a prendere. Né puoi sperare che 4 ore di sonno bastino per recuperare. Né che il motorino parta al primo colpo col freddo delle 5 di mattina. Né che il 2 maggio escano i giornali solo perché stai fuori da una settimana e non sai una cippalippa di quello che è successo nel frattempo. Né che l'editore trovi qualcuno che non sia Antonio Maggiora Vergano per farti da balia, né che gli ascoltatori non ti riempiano di messaggi tipo: "Mortacci tua che vita che fai, stai sempre in vacanza...".
p.s. tutto questo per dire che dopo anni di reciproca e giustificata diffidenza, visto che faccio un salto a Roma per gli Internazionali di tennis, ho richiesto a mia sorella il favore di rimediarmi un altro biglietto. Di mezzo stavolta ci sono l'Etihad e l'Alitalia, ma considerando che fra l'11 e il 23 maggio i voli da prendere saranno cinque (Melbourne-Abu Dhabi-Ginevra-Roma, Milano-Abu Dhabi-Melbourne), io speriamo che me la cavo.
*felice anniversario, Egeste!
Fino alle 4 di notte. Sulla soglia dei crampi muovevo infatti a compassione una hostess marchigiana, obbligandola moralmente a ravanare nella ghiacciaia e ad estrarne un residuo bellico, un'unica, ultima vaschetta di tortellini alla besciamella, di fronte alla quali mi usciva una lacrimuccia.
"Però c'è un problema - mi faceva lei, ignara di tutti i miei altri problemi - sono al mio primo volo e non so come far funzionare il forno elettrico". Due tentativi di scongelare quel mattone col perfido marchingegno erano solo tempo sprecato. Tanto mi sarei mangiato pure la vaschetta di alluminio.
Il resto veniva giù a cascata, una cosmica conseguenza naturale delle cose: di primo maggio non puoi mica sperare che abbondino gli autobus da Malpensa alla stazione centrale, né che ci siano tutti 'sti treni fra Milano e Roma, né che sull'unico pendolino serale in partenza ci sia posto in seconda classe. Né che se arrivi a Termini all'una di notte qualcuno ti venga pure a prendere. Né puoi sperare che 4 ore di sonno bastino per recuperare. Né che il motorino parta al primo colpo col freddo delle 5 di mattina. Né che il 2 maggio escano i giornali solo perché stai fuori da una settimana e non sai una cippalippa di quello che è successo nel frattempo. Né che l'editore trovi qualcuno che non sia Antonio Maggiora Vergano per farti da balia, né che gli ascoltatori non ti riempiano di messaggi tipo: "Mortacci tua che vita che fai, stai sempre in vacanza...".
Si pensava di fare trasmissione coi giornali usati |
*felice anniversario, Egeste!