‘Keep clear’. In due parole si invita l’automobilista australiano a fare una scelta di campo forte: aspettare che la macchina che lo precede abbia superato completamente l’intersezione prima di occupare l’incrocio e alimentare l’ingorgo. L’intento è talmente nobile che non riesco mai a staccare gli occhi da quelle nove lettere pennellate sull’asfalto. E a distanza di anni continuo a commuovermi constatando ogni volta come quella semplice indicazione di buon senso venga rispettata da tutti pedissequamente, senza il beneficio dei mille commi della vita e - soprattutto - senza che dalle retrovie scattino all’unisono dieci clacson e venti bestemmie.
Anche l’australiano nella sua versione più macha, alternativa o ribelle, il tizio con muscoli e tatuataggi in abbondanza che non si separa mai dalla sua cassa di birra, rispetta con fedele devozione questa e le mille altre regole che lo Stato gli impone. Dall’obbligo del caschetto anche sulle piste ciclabili a quello delle cinture di sicurezza sui sedili posteriori, dal divieto di consumare alcol per strada a quello di parcheggiare sulle strisce, dal divieto di utilizzare il cellulare nelle stazioni di servizio (figuriamoci alla guida) a quello di fumare allo stadio. Dove, per la cronaca, sono vietati i fumogeni, nessuno conosce il nome dell’arbitro e ogni intemperanza viene punita con settemila dollari di multa. Al massimo dopo la terza VB caccia un rutto da escavatrice, ma per ora sulla faccenda il governo non ha messo bocca.
Certo, è più facile rispettare le regole imposte dall’alto quando lo fa anche il vicino, quando il sistema scolastico ha puntato sull’interiorizzazione del rispetto e del timore per l'autorità e meno (molto ma molto meno) sullo sviluppo della creatività e dello spirito critico. E in generale quando l’intero ingranaggio funziona, per cui ogni discussione tesa a togliere certezze che nella visione semplicistica della maggioranza contribuiscono ad assicurare un +3,4% del PIL nazionale anche in epoca di crisi globale, suona come un rigurgito rivoluzionario. Insomma, l’uovo dell’educazione civica nasce contemporaneamente alla gallina del rispetto dello Stato per i cittadini, in una specie di circolo virtuoso al quale forse mancano anima e analisi (è proprio necessario – dico io - che i motorini si mettano in coda, al semaforo, come tutte le altre auto e non possano zigzagare neanche un po’ per guadagnare qualche posizione sulla griglia di partenza?) ma che anestetizza i nativi e ipnotizza gli immigrati.
Il risultato è un Paese talmente ligio al dovere da apparire narcotizzato, irregimentato e robotizzato. Ai nostri occhi, almeno. Un posto nel quale puoi star certo che nessuno risponderà ad un tuo sms durante l’orario di lavoro ma anche che un politico finirà sulla gogna se pagherà il taxi coi soldi pubblici, dove nessuno conosce le funzioni del procuratore generale o le pieghe della legge elettorale, ma dove il rispetto è il caposaldo delle relazioni lavorative e l'assenza del conflitto e la serenità – anche quella tutta anglo di facciata – lo sono di quelle sociali.
Non è per la sua bellezza che Melbourne è stata eletta un paio d’anni fa ‘città più vivibile al mondo’. Ma perché la cosa peggiore che ti possa capitare è che ti rubino la bicicletta sotto casa, che ti ritrovi un ragno velenoso in cucina o che ti chiedano perché mai in Italia non si riesca a formare un governo.