Qualche tempo fa, ficcando il naso tra le carte dell'istituto
nazionale di previdenza sociale, ho scoperto di avere un fondo pensione
anoressico. Non che mi illudessi, ma fra una decina di datori di lavoro,
una quindicina di anni di attività e tante di quelle tasse pagate da
ricevere sempre rimborsi pari a una tredicesima, speravo in
qualcosa di più di 9 mesi di contributi.
Pare che all'INPS risultino solo i versamenti fatti quando ero ancora vergine, nel '96.Oltre a bazzicare i corridoi della Lumsa e a raccontare in radio e sul Corriere le partite di Almas, Montespaccato e spesso pure Rebibbia, all'epoca arrotondavo facendo lo steward alla Fiera di Roma.
Il lavoro era semplice: bastava calzare le scarpe della cresima e indossare un vestito fatto su misura (detratto dai compensi, ça va sans dire) e rassegnarsi a trascorrere lunghissime giornate in piedi e a digiuno, in attesa che Steve Jobs o chi per lui risolvessero l'impasse con qualcosa di più interattivo di un walkie talkie..
L'unico modo per combattere la noia era dedicarsi ad uno sport nel quale da allora, modestamente, me la cavo alla grande: attaccare bottone con gli sconosciuti.
Se mi assegnavano al cancello su via Cristoforo Colombo potevo conoscere ricchissime nobili col barboncino che poi mi tempestavano di chiamate e mi invitavano alle loro cene eleganti ai Parioli per presentarmi il figlio chirurgo e l'amico dell'ex Scià di Persia. Coi quali - a sentire la contessa - avevo un sacco di cose in comune.
Se finivo sul retro, a via dell'Arcadia, capitava che mi ritrovassi a piegarmi dalle risate con un muratore rumeno. Salvo poi scoprire che per rispondere al mio istinto feticista avevo appena fregato la targhetta metallica della sua Dacia. E mentre ridevamo insieme ce l'avevo nel taschino.
Se invece dovevo tenere a bada il famigerato ingresso secondario di via dei Georgofili, potevo ripassare l'esame di Teorie e Tecniche delle Comunicazioni di Massa o leggere il Paradiso degli Orchi in due giorni.
Il tempo non mancava, soprattutto se in assenza di qualche collega toccava coprire due turni, lavorando dalle 7 alle 23. A me in realtà successe solo una volta: tornai a casa a mezzanotte con due occhiaie e un sorriso così, perché con una botta sola avevo fatto 96mila lire. Abbastanza per una settimana in Guatemala.
La Gesman - la benemerita cui devo gli unici versamenti INPS della mia vita lavorativa - pagava 6 mila lire all'ora. Poco prima che arrivasse l'euro, non ai tempi del Quartetto Cetra.
C'ho ripensato stamane, quando ho avuto la conferma che domani lavorerò dalle 6 alle 14.30 per il programma italiano di radio SBS e poi - come inviato allo stadio - dalle 17 alle 23 per quello inglese di SBS 3. Non siamo alle 16 ore di fila ma poco ci manca.
Pare che all'INPS risultino solo i versamenti fatti quando ero ancora vergine, nel '96.Oltre a bazzicare i corridoi della Lumsa e a raccontare in radio e sul Corriere le partite di Almas, Montespaccato e spesso pure Rebibbia, all'epoca arrotondavo facendo lo steward alla Fiera di Roma.
Il lavoro era semplice: bastava calzare le scarpe della cresima e indossare un vestito fatto su misura (detratto dai compensi, ça va sans dire) e rassegnarsi a trascorrere lunghissime giornate in piedi e a digiuno, in attesa che Steve Jobs o chi per lui risolvessero l'impasse con qualcosa di più interattivo di un walkie talkie..
L'unico modo per combattere la noia era dedicarsi ad uno sport nel quale da allora, modestamente, me la cavo alla grande: attaccare bottone con gli sconosciuti.
Se mi assegnavano al cancello su via Cristoforo Colombo potevo conoscere ricchissime nobili col barboncino che poi mi tempestavano di chiamate e mi invitavano alle loro cene eleganti ai Parioli per presentarmi il figlio chirurgo e l'amico dell'ex Scià di Persia. Coi quali - a sentire la contessa - avevo un sacco di cose in comune.
Se finivo sul retro, a via dell'Arcadia, capitava che mi ritrovassi a piegarmi dalle risate con un muratore rumeno. Salvo poi scoprire che per rispondere al mio istinto feticista avevo appena fregato la targhetta metallica della sua Dacia. E mentre ridevamo insieme ce l'avevo nel taschino.
Se invece dovevo tenere a bada il famigerato ingresso secondario di via dei Georgofili, potevo ripassare l'esame di Teorie e Tecniche delle Comunicazioni di Massa o leggere il Paradiso degli Orchi in due giorni.
Il tempo non mancava, soprattutto se in assenza di qualche collega toccava coprire due turni, lavorando dalle 7 alle 23. A me in realtà successe solo una volta: tornai a casa a mezzanotte con due occhiaie e un sorriso così, perché con una botta sola avevo fatto 96mila lire. Abbastanza per una settimana in Guatemala.
La Gesman - la benemerita cui devo gli unici versamenti INPS della mia vita lavorativa - pagava 6 mila lire all'ora. Poco prima che arrivasse l'euro, non ai tempi del Quartetto Cetra.
C'ho ripensato stamane, quando ho avuto la conferma che domani lavorerò dalle 6 alle 14.30 per il programma italiano di radio SBS e poi - come inviato allo stadio - dalle 17 alle 23 per quello inglese di SBS 3. Non siamo alle 16 ore di fila ma poco ci manca.