Il soffio delle lenzuola fresche di bucato picchia sulle narici come una madeleine sparata da una balestra. Una tazza di caffe' per il tarlo del manierismo. Quel piccolo, fottutissimo, borghesuccio parlante esce dal letargo. Basta un passo in un appartamento che sembra davvero un appartamento, che improvvisamente la barba di sei giorni diventa sciatta, la maglietta sgualcita, i pantaloni impolverati, le scarpe impresentabili. Il tutto oggettivamente. Bentornato nel mondo dove una patacca sui bermuda e' peggio di una macchia sulla fedina penale, Dario. Il vantaggio dovrebbe essere una doccia calda, ma per non farmi abituare subito a certi lussi nel quattro stelle della cosichiamata Riviera Maya proprio oggi il signor Caso ha deciso di farla mancare. E per la precisione si dorme sul divano. Al secondo passo mi accuccio e mi faccio precedere dal cuscinone di Hello Kitty. Jamila lo afferra con riluttanza. Rompo il ghiaccio. "Ciao, figlioccia!". Lei si copre mezzo volto con un braccio, poi si volta verso la madre. E le consegna uno sguardo che e' una domanda inequivocabile. "E mo' chi e', questo?".
p.s. la timidezza e' durata poco.
lunedì 28 aprile 2008
giovedì 24 aprile 2008
Club Tropicana (on the edge of heaven)
Lo sguardo fotografa subito due famiglie di protestanti mennoniti dagli occhi celesti sgranati e dai volti diafani e diffidenti, un nucleo cinese con figliolata qui ancora legale, un campesino meticcio col cappello da cow-boy, una ragazza indiana, alcune donne maya e una coppia di antropologi dell'Universita' di Topeka, nel Kanas. Tutti gli altri occupanti dello scuola bus che lascia Punta Gorda verso il centro del Belize sono creoli o garifuna. Nello spazio di un corridoio si parlano cinque lingue e si professano una mezza dozzina di confessioni: un crogiuolo di etnie meraviglioso, impensabile neanche in Uzbekistan, Malesia, Hong Kong o Melbourne. Una signora morena con la testa piena di bigodini rosa mi da' pure il benvenuto chiamandomi sweet mango (l'appellativo con cui qui si indica lo straniero e col quale probabilmente si sottolinea la sua mollezza - della serie mi ti ciuccio come...), poi l'incantesimo della concordia universale viene frantumato dal mio vicino.
"Voi di Roma siete la rovina del mondo". Il rasta che si siede accanto a me si e' svegliato col piede sbagliato. Ma prima di dargli del malato di mente chiedo lumi. La risposta e' una pioggia di conoscenze storiche mescolate ad minchiam. Il tizio sparacchia nell'ordine le Crociate, la Santa Inquisizione e Pio XII. Quando provo a scaricare il barile su Belgio, Olanda, Francia e compagnia coloniale per vedere l'effetto che fa, lui mette sul tavolo pure Mussolini e l'Etiopia. Al Concilio Vaticano II e alle scuse di Giovanni Paolo II replica accusando la Chiesa di vendere falsi idoli invece del vero Dio. Quando gli faccio notare che parla con la superficialita' qualunquistica dell'occidentale islamofobo e che fra maglietta di Bob Marley, bandiera giamaicane e catenina con la foglia di marijuana neanche lui scarseggia a idoli, il tizio profetizza bruscamente. Un giorno l'Africa will wipe off - spazzera' via - l'Occidente. Per mia fortuna prima di cominciare personalmente lui partendo di capoccia sul mio zigomo, arriviamo ad Indipendence. E lui scende.
Al suo posto si sistema Bernard Linarez. E' creolo, ha 22 anni e viaggia con una borsetta blu scura dalla quale estrae un paio di scarpini amaranto di Ronaldinho e la maglietta numero 14 della nazionale del Belize. Bernard dice di averci giocato 10 volte ("o forse piu'"), di aver segnato contro Panama e di esser diretto a Belmopan dove e' in programma il raduno di preparazione alla sfida contro il Messico valida per le qualificazioni mondiali. Si gioca a Houston il 16 giugno. "Forse".
Mentre Bernard mi racconta che ricopre il ruolo di esterno sinistro ("qualche volta difensore, qualche volta centrocampista...ma se c'e' bisogno MI METTO anche al centro"), che guadagna 750 dollari al mese per giocare nel Texmar ma sogna la lega statunitense e mi da' appuntamento a Johannesburg perche' il Messico e' forte, ma se loro hanno una giornata-no e il Belize evita i soliti cali di concentrazione... alle nostre spalle si espande un odore di sterco. Un meticcio brillo se l'e' fatta addosso. Il bus inchioda dalle parti di Mango Creek, e il colpevole viene trasportato fuori con la forza dal secondo dell'autista, un ragazzone a forma di armadio con le treccine.
Vedere una pletora di luoghi aiuta a relativizzare il proprio punto di vista, orizzontalmente. Tornare negli stessi a distanza di tempo consente di farlo verticalmente.
Il Belize non e' cambiato molto. Io, un po', si'.
(continua)
p.s. sto per fare una cosa che mi mancava da tempo immemore. Una cosa che avevo fatto dalle Galapagos a Piazza Tien An Men passando per il Guatemala, la Tunisia e l'Ungheria. Quella cosa che non si limita a caratterizzare un viaggio o una vita ma defisce l'essere umano di sesso maschile tout-court. Finalmente sto per giocare a pallone.
"Voi di Roma siete la rovina del mondo". Il rasta che si siede accanto a me si e' svegliato col piede sbagliato. Ma prima di dargli del malato di mente chiedo lumi. La risposta e' una pioggia di conoscenze storiche mescolate ad minchiam. Il tizio sparacchia nell'ordine le Crociate, la Santa Inquisizione e Pio XII. Quando provo a scaricare il barile su Belgio, Olanda, Francia e compagnia coloniale per vedere l'effetto che fa, lui mette sul tavolo pure Mussolini e l'Etiopia. Al Concilio Vaticano II e alle scuse di Giovanni Paolo II replica accusando la Chiesa di vendere falsi idoli invece del vero Dio. Quando gli faccio notare che parla con la superficialita' qualunquistica dell'occidentale islamofobo e che fra maglietta di Bob Marley, bandiera giamaicane e catenina con la foglia di marijuana neanche lui scarseggia a idoli, il tizio profetizza bruscamente. Un giorno l'Africa will wipe off - spazzera' via - l'Occidente. Per mia fortuna prima di cominciare personalmente lui partendo di capoccia sul mio zigomo, arriviamo ad Indipendence. E lui scende.
Al suo posto si sistema Bernard Linarez. E' creolo, ha 22 anni e viaggia con una borsetta blu scura dalla quale estrae un paio di scarpini amaranto di Ronaldinho e la maglietta numero 14 della nazionale del Belize. Bernard dice di averci giocato 10 volte ("o forse piu'"), di aver segnato contro Panama e di esser diretto a Belmopan dove e' in programma il raduno di preparazione alla sfida contro il Messico valida per le qualificazioni mondiali. Si gioca a Houston il 16 giugno. "Forse".
Mentre Bernard mi racconta che ricopre il ruolo di esterno sinistro ("qualche volta difensore, qualche volta centrocampista...ma se c'e' bisogno MI METTO anche al centro"), che guadagna 750 dollari al mese per giocare nel Texmar ma sogna la lega statunitense e mi da' appuntamento a Johannesburg perche' il Messico e' forte, ma se loro hanno una giornata-no e il Belize evita i soliti cali di concentrazione... alle nostre spalle si espande un odore di sterco. Un meticcio brillo se l'e' fatta addosso. Il bus inchioda dalle parti di Mango Creek, e il colpevole viene trasportato fuori con la forza dal secondo dell'autista, un ragazzone a forma di armadio con le treccine.
Vedere una pletora di luoghi aiuta a relativizzare il proprio punto di vista, orizzontalmente. Tornare negli stessi a distanza di tempo consente di farlo verticalmente.
Il Belize non e' cambiato molto. Io, un po', si'.
(continua)
p.s. sto per fare una cosa che mi mancava da tempo immemore. Una cosa che avevo fatto dalle Galapagos a Piazza Tien An Men passando per il Guatemala, la Tunisia e l'Ungheria. Quella cosa che non si limita a caratterizzare un viaggio o una vita ma defisce l'essere umano di sesso maschile tout-court. Finalmente sto per giocare a pallone.
lunedì 21 aprile 2008
Amarcord
Ben e Sarah hanno quei problemi di comunicazione che si superano brillantemente con la pensione di lui e alla quinta di lei. Ben e' danese e fino a sessant'anni ha fatto il veterninario. Poi, quando ha smesso di curare gli animali, si e' infilato un orecchino e ha cominciato a solcare il mondo in barca a vela. L'attivita' e' stata talmente di suo gradimento che neanche tre giorni a biscotti e acqua piovana su un gommone alla deriva nel Pacifico prima di essere salvato da un mercantile neozelandese tra Fiji e Tonga gli hanno fatto passare la voglia di continuare. In Brasile Ben ha acquistato una nuova barca, il Tico Tico, quindi si e' trasferito a Cartagena e s'e' messo con Sarah, che e' colombiana, ha 40 anni meno di lui e a differenza di lui non hai mai lavorato.
Bene direbbe che lui e' un pazzo furioso e lei una mignotta.
Perche' Bene e' un po' perentoria e per lei le cose sono sempre due.
Per esempio se le raccontassi di Baxter, un arzillo vecchietto di Washington venuto al mondo un anno prima che Einstein pubblicasse la teoria della relativita' e le raccontassi che anche lui gira l'America in barca, Bene direbbe che a 94 anni il nonnetto e' un pazzo scatenato o cioe'-non-lo-so, un gran fico.
Se invece le raccontassi di Adi, un'israeliana che mi ha seguito tre giorni e che gia' la prima notte voleva che la riscaldassi per aiutarla ad addormentarsi, Bene direbbe che le cose sono due: o lei e' una cozza o io sono un coglione.
Alche' proverei a raccontarle di Onan, un guatemalteco che vive vendendo collane con pietre preziose, ha trascorso una sera e una mattina a fumare e offrirmi mota, che nelle ultime 18 notti ho dormito in 17 posti diversi o della buena onda dei Garifuna - i discendenti degli schiavi africani che abitano da queste parti - i quali hanno tentato di convincermi che se sei febbricitante un buon rimedio e' la cocaina. Tutto inutile, Bene direbbe che le cose sono due. Ma il punto e' che sono uno sfigato.
Ora, siccome i miei ricordi del Belize sono i seguenti:
- la signora che rigetta NEL bus
- il vomito che va su e giu' sul pavimento
- il percorso fra Orange Walk e Belize City con le gambe rannicchiate sul sedile e gli zaini addosso
- i ristoratori che col buio si barricano dentro
- il granchio mannaro
- 2 notti insonni su un'amaca
- 52 punture di zanzara SOLO sulla schiena
- 28 ore di digiuno non voluto
...se le dicessi che domani o dopodomani prendo una lancha da Livingston a Punta Gorda, e ci torno, in Belize, Bene direbbe che non sara' mai come quando ci siamo stati insieme ad Anto e Bela. Io lo spero.
Bene direbbe che lui e' un pazzo furioso e lei una mignotta.
Perche' Bene e' un po' perentoria e per lei le cose sono sempre due.
Per esempio se le raccontassi di Baxter, un arzillo vecchietto di Washington venuto al mondo un anno prima che Einstein pubblicasse la teoria della relativita' e le raccontassi che anche lui gira l'America in barca, Bene direbbe che a 94 anni il nonnetto e' un pazzo scatenato o cioe'-non-lo-so, un gran fico.
Se invece le raccontassi di Adi, un'israeliana che mi ha seguito tre giorni e che gia' la prima notte voleva che la riscaldassi per aiutarla ad addormentarsi, Bene direbbe che le cose sono due: o lei e' una cozza o io sono un coglione.
Alche' proverei a raccontarle di Onan, un guatemalteco che vive vendendo collane con pietre preziose, ha trascorso una sera e una mattina a fumare e offrirmi mota, che nelle ultime 18 notti ho dormito in 17 posti diversi o della buena onda dei Garifuna - i discendenti degli schiavi africani che abitano da queste parti - i quali hanno tentato di convincermi che se sei febbricitante un buon rimedio e' la cocaina. Tutto inutile, Bene direbbe che le cose sono due. Ma il punto e' che sono uno sfigato.
Ora, siccome i miei ricordi del Belize sono i seguenti:
- la signora che rigetta NEL bus
- il vomito che va su e giu' sul pavimento
- il percorso fra Orange Walk e Belize City con le gambe rannicchiate sul sedile e gli zaini addosso
- i ristoratori che col buio si barricano dentro
- il granchio mannaro
- 2 notti insonni su un'amaca
- 52 punture di zanzara SOLO sulla schiena
- 28 ore di digiuno non voluto
...se le dicessi che domani o dopodomani prendo una lancha da Livingston a Punta Gorda, e ci torno, in Belize, Bene direbbe che non sara' mai come quando ci siamo stati insieme ad Anto e Bela. Io lo spero.
giovedì 17 aprile 2008
Ordinary world
In un decennio, l'ultimo, la popolazione del Guatemala e' cresciuta (numericamente, non in altezza) del 40%. E' come se nel 2018 l'Italia si ritrovasse a sfamare 80 milioni di bocche e la Cina quasi due miliardi. Secondo un dato piu' ufficiale della mia memoria, il 44% dei guatemaltechi ha meno di 15 anni. Quando i nuovi arrivati non salgono tutti e contemporaneamente a bordo del blue bird sul quale gia' divido un sedile da due con una famiglia di cinque componenti - fagiani eslcusi - dormono sotto un tetto. Immagino sia per questo che Ciudad de Guatemala ha superato i 3 milioni di abitanti e Los Encuentros da incrocio stradale con sette tende e' diventata una cittadina con tanto di cavalcavia. In dieci anni in Guatemala hanno imparato pure a fare le signorine, a contrattare duramente e ad attirare investimenti stranieri nel settore del turismo. Percio' tornare ad Antigua e' come rivedere dopo dieci anni una fiamma dell'adolescenza che ricordavi dolce, ingenua, angelicata e scoprire una giovane donna affascinante, elegante, sofisticata, pienamente consapevole della sua incredibile bellezza. E che l'ha data un po' a tutti.
Sulle strade, che da mucchi di pozzolana sono quasi dappertutto diventate piste di asfalto, sfrecciano mini-van allestiti da centinaia di agenzie viaggi a beneficio degli stranieri convinti che due ore in piedi su un chicken bus non insegnino poi molto. Quetzaltenango e' stata scelta come centrale per gli americani smaniosi di apprendere lo spagnolo e che dopo un mese si arrampicano su un ¿cuanto cuesta? con lo stesso sforzo con cui scalerebbero l'Aconcagua. Attorno al lago Atitlan, Maximon e' diventato una specie di personaggio dei fumetti, San Pedro e San Marcos due piccoli eden di hippies. Piu' commerciale il primo, piu' spirituale il secondo. A San Pedro spuntano ad ogni angolo i reggae bar e i ristorantini vegetariani, a San Marcos dall'hotel Las piramides in giu' e' tutto un proporre corsi di metafisica, meditazione, cabala, yoga e massaggi. Ma anche di lucid dreams e astral travelling. Davanti alla sala giochi che spara a tutto volume Cindy Lauper, Berlin e Duran Duran, incontro Rafael, un madrileno che in Chiapas ha imparato a fare sandali con strisce di cuoio e Gabriel, un simpatico roscio dell'Illinois che e' venuto a girare un documentario sul 2012. Mi spiega che per alcuni hippies quell'anno accadra' qualcosa di catastrofico. Tipo la fine del mondo.
Alle pendici del quartierino esoterico, trovo posto nella sistemazione piu' economica del paesino, una guest house lontana dall'esser completata e che porta il nome - Panabaj - dell'insediamento attorno al lago sepolto da una frana provocata nell'ottobre del 2005 dall'uragano Stan. Sull'instabile veranda di legno, Carlos mi fa assaggiare un panino preparato dalla moglie. Poi mi racconta che il ciclone si è abbattuto anche su San Marcos, e che in qualita' di architetto al servizio di un'associazione di volontariato lui e' stato chiamato a supervisionare i lavori di ricostruzione delle 17 case crollate. E' sul crollate che la veranda gia' agitata da folate di vento viene scossa da una raffica decisamente piu' robusta delle altre che fa traballare anche il ripieno dei panini. Sotto i nostri sederi è appena passata l'eco di un terremoto del 6o grado della scala Richter. Altro che 2012.
Sulle strade, che da mucchi di pozzolana sono quasi dappertutto diventate piste di asfalto, sfrecciano mini-van allestiti da centinaia di agenzie viaggi a beneficio degli stranieri convinti che due ore in piedi su un chicken bus non insegnino poi molto. Quetzaltenango e' stata scelta come centrale per gli americani smaniosi di apprendere lo spagnolo e che dopo un mese si arrampicano su un ¿cuanto cuesta? con lo stesso sforzo con cui scalerebbero l'Aconcagua. Attorno al lago Atitlan, Maximon e' diventato una specie di personaggio dei fumetti, San Pedro e San Marcos due piccoli eden di hippies. Piu' commerciale il primo, piu' spirituale il secondo. A San Pedro spuntano ad ogni angolo i reggae bar e i ristorantini vegetariani, a San Marcos dall'hotel Las piramides in giu' e' tutto un proporre corsi di metafisica, meditazione, cabala, yoga e massaggi. Ma anche di lucid dreams e astral travelling. Davanti alla sala giochi che spara a tutto volume Cindy Lauper, Berlin e Duran Duran, incontro Rafael, un madrileno che in Chiapas ha imparato a fare sandali con strisce di cuoio e Gabriel, un simpatico roscio dell'Illinois che e' venuto a girare un documentario sul 2012. Mi spiega che per alcuni hippies quell'anno accadra' qualcosa di catastrofico. Tipo la fine del mondo.
Alle pendici del quartierino esoterico, trovo posto nella sistemazione piu' economica del paesino, una guest house lontana dall'esser completata e che porta il nome - Panabaj - dell'insediamento attorno al lago sepolto da una frana provocata nell'ottobre del 2005 dall'uragano Stan. Sull'instabile veranda di legno, Carlos mi fa assaggiare un panino preparato dalla moglie. Poi mi racconta che il ciclone si è abbattuto anche su San Marcos, e che in qualita' di architetto al servizio di un'associazione di volontariato lui e' stato chiamato a supervisionare i lavori di ricostruzione delle 17 case crollate. E' sul crollate che la veranda gia' agitata da folate di vento viene scossa da una raffica decisamente piu' robusta delle altre che fa traballare anche il ripieno dei panini. Sotto i nostri sederi è appena passata l'eco di un terremoto del 6o grado della scala Richter. Altro che 2012.
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lunedì 14 aprile 2008
Lullaby
N.b. Non e' un fotomontaggio, ne' devo i diritti a nessuno. L'immagine e' una delle dieci che prima di partire ho conservato nella memoria della fotocamera. Scattata nei pressi di viale Mazzini per prendere dimestichezza con l'apparecchio, l'istantanea risale a 14 mesi fa. Ai tempi della calata dei Lanzichenecchi. O degli Unni. O dei marziani. Non ricordo.
mercoledì 9 aprile 2008
Il gatto e la volpe
La strada che cerco e' chiusa dai bomberos. Al quinto piano del palazzo all'angolo divampa un incendio che ha trascinato sul marciapiede tre file di uomini col mento in su e le braccia conserte. Faccio dietrofront, ripassando nel portico sotto il quale poco fa due ubriachi bisticciavano. La prima volta mi hanno ignorato, la seconda no. "Miren, yo no soy gringo. Soy mas latino que vos!". Calco l'accento argentino, come ogni volta che qualcuno mormora quell'epiteto spregiativo. Di solito il provocatore passa dalla baldanza del revanscismo verbale da strada alla contrizione di chi e' colto in fallo due volte. Talvolta si schernisce, se mi va bene ride pure. Ai due ubriachi invece viene solo voglia di saperne di piu' sul mio conto. Accelero il passo verso plaza Morazan, il parque central, dove un omino in giacca grigia regola i conti con una prostituta matura che gli ha appena rotto il naso con una borsettata. "L'altro giorno mi ha rubato il cellulare e 500 lempiras!" grida rivolto a me, sanguinando, per giustificare il malrovescio col quale fa rotolare la donna in un'aiuola. Sono appena arrivato e non ho ancora trovato una bettola aperta. Ma ho gia' capito che di notte a Tegucigalpa non ci si annoia neanche un po'.
Isaia Contreras ha una voglia triangolare alla radice dell'occhio destro. Se non impugnasse uno dei fucili a pompa usati dall'esercito statunitense nelle Filippine lo paragoneresti a Pierrot. Probabilmente ha solo uno zigomo maciullato. Isaia da una parte sorveglia uno dei venti negozietti di ciambelle del centro, dall'altra i giornali appesi all'espositore di fianco. Quando serve, col braccio libero li distribuisce. Isaia e' convinto che in tanti si fidino di lui perche' in 55 anni non ha mai sgarrato. E perche' quando viene la Settimana Santa e i giovani assaltano gli esercizi alla ricerca dei soldi per andare al mare, lui spara. In Honduras ogni anno ci sono piu' di 3500 omicidi. Al di la' dei tre squallidi ponti su una fogna spacciata per fiume, l'atmosfera della capitale honduregna e' ancora piu' trash. Dai machete in su, fra le bancarelle di un mercato perennemente aperto circola una quantita' inusitata di armi. Le donne si dividono in chi allarma e in chi e' allarmata. Non ce n'e' una che si senta libera di passeggiare parlando al cellulare, non una che non ti consigli di uscire in fretta dal quartiere di Comayaguela. Peccato che da li' partano tutti i mezzi, cittadini e non. E infatti proprio li', sul bus per Cerro Grande, due simpatici ceffi allestiscono il comitato di benvenuto per Giancarlo. Pensano di farci cosa gradita togliendoci il fastidio di caricare zaini, fotocamere e soldi. Giustamente.
(prosegue, forse)
p.s. Sul primo bus salvadoregno siamo stati rimorchiati dalla signora Guadalupe Santamaria detta Lupita e dalla sua amica Flor de Maria Neves detta Florcita. Invece di cercar guai fra i maras di Las Aguilares abbiamo vinto una notte gratis in una casa di San Salvador coi letti duri come tombe. L'unico cuscino l'ha preso Giancarlo, che e' costipato e c'ha la schiena a pezzi . Io invece fischio. Per l'occasione dopo 4 giorni lui si e' anche tolto la maglietta con su scritto: "Perche' agli uomini piacciono tanto i pompini?".
nuova gallery RTWO (2008): Nicaragua ►
Isaia Contreras ha una voglia triangolare alla radice dell'occhio destro. Se non impugnasse uno dei fucili a pompa usati dall'esercito statunitense nelle Filippine lo paragoneresti a Pierrot. Probabilmente ha solo uno zigomo maciullato. Isaia da una parte sorveglia uno dei venti negozietti di ciambelle del centro, dall'altra i giornali appesi all'espositore di fianco. Quando serve, col braccio libero li distribuisce. Isaia e' convinto che in tanti si fidino di lui perche' in 55 anni non ha mai sgarrato. E perche' quando viene la Settimana Santa e i giovani assaltano gli esercizi alla ricerca dei soldi per andare al mare, lui spara. In Honduras ogni anno ci sono piu' di 3500 omicidi. Al di la' dei tre squallidi ponti su una fogna spacciata per fiume, l'atmosfera della capitale honduregna e' ancora piu' trash. Dai machete in su, fra le bancarelle di un mercato perennemente aperto circola una quantita' inusitata di armi. Le donne si dividono in chi allarma e in chi e' allarmata. Non ce n'e' una che si senta libera di passeggiare parlando al cellulare, non una che non ti consigli di uscire in fretta dal quartiere di Comayaguela. Peccato che da li' partano tutti i mezzi, cittadini e non. E infatti proprio li', sul bus per Cerro Grande, due simpatici ceffi allestiscono il comitato di benvenuto per Giancarlo. Pensano di farci cosa gradita togliendoci il fastidio di caricare zaini, fotocamere e soldi. Giustamente.
(prosegue, forse)
p.s. Sul primo bus salvadoregno siamo stati rimorchiati dalla signora Guadalupe Santamaria detta Lupita e dalla sua amica Flor de Maria Neves detta Florcita. Invece di cercar guai fra i maras di Las Aguilares abbiamo vinto una notte gratis in una casa di San Salvador coi letti duri come tombe. L'unico cuscino l'ha preso Giancarlo, che e' costipato e c'ha la schiena a pezzi . Io invece fischio. Per l'occasione dopo 4 giorni lui si e' anche tolto la maglietta con su scritto: "Perche' agli uomini piacciono tanto i pompini?".
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mercoledì 2 aprile 2008
Da uno a cento
Sotto Natale Daniel aveva tempo da perdere. Me lo immagino a Tel Aviv, seduto ad un tavolino, armato di atlante, pallottoliere e buzzo buono. Di sicuro poi mi ha inviato una mail di congratulazioni "ammirate e invidiose". Quando mi sono deciso a rispondergli, ho scritto che non basta partecipare al Sei Nazioni di rugby per esserlo, una Nazione. E che percio' dalla lista poteva tranquillamente eliminare Galles, Irlanda del Nord e Scozia. Per ora. Poi ho aggiunto che lo stesso discorso valeva per Gibilterra, Hong Kong e Polinesia francese. Idem come sopra. Nel post scriptum ho aggiunto che non millantavo di esser stato in posti dei quali conoscevo a malapena gli aeroporti, tipo Etiopia o Emirati Arabi. E che sebbene la Transinistria batta moneta e abbia una polizia che ti impedisce l'accesso nel territorio - a meno che non allunghi una mazzetta da dieci euro alla pattuglia della stazione di Tiraspol -, finche' le Nazioni Unite non la riconoscono, ufficialmente e' solo una bizzosa costola russofona della Moldova. Ho insomma ringraziato Daniel per l'interessamento, ma ho rispedito al mittente i complimenti per aver raggiunto la "fantasmagorica cifra" di cento Paesi visitati con zaino in spalla e spiccioli in tasca. Da allora considero Daniel un po' imbecille. Ma a forza di incontrare fanciullini sbalestrati fra horror vacui, ansie di possesso e malformazioni da Risiko che indicano cento Paesi come l'obiettivo di una vita, ho accettato la classificazione statistica come una delle componenti accessorie del viaggio. Forse la piu' deleteria. Basta vedere l'effetto che ha avuto su tre morigeratissimi rampolli della Lucerna bene. Fino ad una settimana fa completamente a digiuno sull'argomento, Jan, Dario e Samuel ci sono entrati con tutte le scarpe. E hanno modificato varie volte il loro percorso centroamericano per arrivare alla frontiera fra Nicaragua e Honduras assieme ad un italiano incontrato ad Ometepe. Pare, se nel frattempo il Sudafrica non ha annesso lo Swaziland, che li' il suddetto italiano arrivi proprio quota cento.
p.s. Mattia! Visto che sono impossibilitato a chiamare, fai da parte mia gli auguri a quella polpetta della sorellina e a quello sciancato del nonno? Se lo senti un po' alterato, e' perche' il nonno e' insensibile agli anni che passano ma non ai buchi difensivi di Panucci.
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