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Lo sguardo fotografa subito due famiglie di protestanti mennoniti dagli occhi celesti sgranati e dai volti diafani e diffidenti, un nucleo cinese con figliolata qui ancora legale, un campesino meticcio col cappello da cow-boy, una ragazza indiana, alcune donne maya e una coppia di antropologi dell'Universita' di Topeka, nel Kanas. Tutti gli altri occupanti dello scuola bus che lascia Punta Gorda verso il centro del Belize sono creoli o garifuna. Nello spazio di un corridoio si parlano cinque lingue e si professano una mezza dozzina di confessioni: un crogiuolo di etnie meraviglioso, impensabile neanche in Uzbekistan, Malesia, Hong Kong o Melbourne. Una signora morena con la testa piena di bigodini rosa mi da' pure il benvenuto chiamandomi
sweet mango (l'appellativo con cui qui si indica lo straniero e col quale probabilmente si sottolinea la sua mollezza - della serie mi ti ciuccio come...), poi l'incantesimo della concordia universale viene frantumato dal mio vicino.
"Voi di Roma siete la rovina del mondo". Il rasta che si siede accanto a me si e' svegliato col piede sbagliato. Ma prima di dargli del malato di mente chiedo lumi. La risposta e' una pioggia di conoscenze storiche mescolate ad minchiam. Il tizio sparacchia nell'ordine le Crociate, la Santa Inquisizione e Pio XII. Quando provo a scaricare il barile su Belgio, Olanda, Francia e compagnia coloniale per vedere l'effetto che fa, lui mette sul tavolo pure Mussolini e l'Etiopia. Al Concilio Vaticano II e alle scuse di Giovanni Paolo II replica accusando la Chiesa di vendere falsi idoli invece del vero Dio. Quando gli faccio notare che parla con la superficialita' qualunquistica dell'occidentale islamofobo e che fra maglietta di Bob Marley, bandiera giamaicane e catenina con la foglia di marijuana neanche lui scarseggia a idoli, il tizio profetizza bruscamente. Un giorno l'Africa
will wipe off - spazzera' via - l'Occidente. Per mia fortuna prima di cominciare personalmente lui partendo di capoccia sul mio zigomo, arriviamo ad Indipendence. E lui scende.
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Al suo posto si sistema Bernard Linarez. E' creolo, ha 22 anni e viaggia con una borsetta blu scura dalla quale estrae un paio di scarpini amaranto di Ronaldinho e la maglietta numero 14 della nazionale del Belize. Bernard dice di averci giocato 10 volte ("o forse piu'"), di aver segnato contro Panama e di esser diretto a Belmopan dove e' in programma il raduno di preparazione alla sfida contro il Messico valida per le qualificazioni mondiali. Si gioca a Houston il 16 giugno. "Forse".
Mentre Bernard mi racconta che ricopre il ruolo di esterno sinistro ("qualche volta difensore, qualche volta centrocampista...ma se c'e' bisogno MI METTO anche al centro"), che guadagna 750 dollari al mese per giocare nel Texmar ma sogna la lega statunitense e mi da' appuntamento a Johannesburg perche' il Messico e' forte, ma se loro hanno una giornata-no e il Belize evita i soliti cali di concentrazione... alle nostre spalle si espande un odore di sterco. Un meticcio brillo se l'e' fatta addosso. Il bus inchioda dalle parti di Mango Creek, e il colpevole viene trasportato fuori con la forza dal secondo dell'autista, un ragazzone a forma di armadio con le treccine.
Vedere una pletora di luoghi aiuta a relativizzare il proprio punto di vista, orizzontalmente. Tornare negli stessi a distanza di tempo
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consente di farlo verticalmente.
Il Belize non e' cambiato molto. Io, un po', si'.
(continua)p.s. sto per fare una cosa che mi mancava da tempo immemore. Una cosa che avevo fatto dalle Galapagos a Piazza Tien An Men passando per il Guatemala, la Tunisia e l'Ungheria. Quella cosa che non si limita a caratterizzare un viaggio o una vita ma defisce l'essere umano di sesso maschile tout-court. Finalmente sto per giocare a pallone.