E adesso? Ci
vorranno altri 4 anni e 4 mesi prima che qualcun altro spezzi l’egemonia dei Fantastici 4 o Melbourne ha segnato l’inizio della rivoluzione
copernicana? I buoi sono scappati o quello di Stan the Man verrà ricordato come
un incidente della storia? E’ un segno dei tempi o la montagna australiana partorirà
il solito topolino parigino? Sulla Rod Laver Arena si sono affacciati uno dopo
l’altro i titolari di un’ottantina di majors,
quasi tutte le leggende viventi della racchetta. Ma a nessuno è venuto in mente
di riattizzare il dibattito sul più grande di sempre, perché l’Happy Slam 2014 ha
lasciato al tennis un’eredità più preziosa: i dubbi sul presente e sul futuro. Antidoti
ad una prevedibilità che stava per scadere in monotonia, ma anche cause di forti
emicranie da crisi delle certezze. Dovevano vincere a mani basse Nole e Serena,
tutt’al più impegnati in finale da Rafa e Vika. Invece un giorno ha stravinto
Li Na, l’altro abbiamo scoperto di aver avuto per anni uno Stanislas Wawrinka in
fondo al cassetto. Se la cinese aveva giocato a tira e molla col bersaglio grosso,
lo svizzero era considerato fino all’altroieri solo uno dei tanti talenti. Incompiuto
perché imperfetto. Un ottimo comprimario, dal rovescio d’oro ma anche dal
carattere fumantino e dal fisico non proprio
asciutto. Poi, improvvisamente, Stan ha trovato in Australia la quadratura del
cerchio, sedendosi al tavolo dei grandi senza essere stato invitato. E ha
obbligato il tennis maschile a farsi qualche domanda: Wawrinka è il nuovo Petr
Korda, che apre le danze dell’anarchia tra un’èra e l’altra, o è il Del Potro gattopardesco
di New York, uno sparo nel buio prima che tutto torni come prima?
Il primo tassello
era stato sistemato proprio in quello stadio, esattamente un anno prima. Lo
svizzero con antenati polacchi e sangue ceco aveva messo paura a RoboNole,
uscendo dal campo a notte fonda, tra le lacrime, sconfitto in un epico 12-10. Da
allora, in ossequio alla frase di Beckett tatuata sul braccio, Stan è stato
lungimirante nell’affidarsi ad un guru lucido e silenzioso come Magnus Norman,
sfacciato nel credere che giocare alla pari con Djokovic a Melbourne e New York
non fosse un punto d’arrivo, umile ne mettere il talento al servizio di un
piano tattico, determinato nel lavorare sulla tenuta atletica e sulla potenza
della battuta. E’ stato Intelligente nel trasformare l’adorazione per Federer
in un rapporto di collaborazione, meno subalterno. E anche fortunato, perché
no, nel trovarsi al momento giusto al posto giusto. L’unico più forte lui nella
metà bassa del tabellone era il campione uscente, ma il rimpasto di governo in
casa Nole non era stato indolore, e dopo un set di rodaggio lo ha capito anche
Stan. Le idiosincrasie di Roger a certe rotazioni e le schiene di Andy e Rafa
hanno fatto il resto, mettendo fuori gioco la concorrenza. Bisogna tornare indietro
a Parigi ’93 per trovare un giocatore – Bruguera - in grado di mandare al tappeto
le prime due teste di serie sulla strada verso uno Slam. Ma l’ultimo outsider a
mettere la museruola ai due migliori giocatori in circolazione e ad
aggiudicarsi un major alla prima vera
occasione era stato proprio Del Potro agli Us Open. Era il settembre del 2009 e
Dinara Safina era n.1 al mondo, tanto per intenderci.
Le analogie col blitz dell’argentino a Flushing Meadows, però, finiscono qui: JMDP non aveva ancora 21 anni, e il suo bussare alle porte del Paradiso provocò una reazione uguale e contraria. Il mastro di chiavi e i suoi scagnozzi erano all’apice della forma, si affrettarono a mettere lucchetto e catenaccio e per altre 3 stagioni non fecero entrare nessuno. Wawrinka non corre il rischio di Palito, che nel tentativo di buttare giù l’entrata ci ha rimesso il polso. A quasi 29 anni non ha lanciato una sfida alla storia, ha semplicemente vissuto un sogno ad occhi aperti. Un sogno– lo ha ripetuto fino alla nausea, anche quando il trofeo intitolato a Norman Brookes brillava accanto al suo naso rosso, neanche si fosse avvinazzato prima del match – che non credeva di poter vivere. Wawrinka è diventato uno splendido animale da palcoscenico, un cavallo da corsa, capace di battere se stesso e gli altri, di mettere in riga un Djokovic meno affamato del solito e un Nadal più incerottato del solito, senza smarrirsi nel frattempo contro un Berdych meno insicuro del solito. Ma senza nulla togliere all’ex svizzero di riserva, che per 4 ore contro Nole e per un’ora contro Rafa ha dimostrato di saper vincere guerre di fisico e di nervi e di essere arrivato lassù per meriti propri, i dubbi rimangono. Non sul valore, né tantomeno sulla bellezza della favola. Ma sulla morale sì. Se ce l’ha fatta lui, penseranno Berdych, Tsonga e, perché no, Ferru... se ce l’ha fatta lui, si dirà il gruppone dei vorrei-ma-non-posso, da Gasquet in giù... se ce l’ha fatta lui, si diranno i Dimitrov e l’esercito delle teste calde... se ce l’ha fatta lui, penserà persino Roger. Stanislas Wawrinka ha riaperto le porte dell’Eden. Da oggi, grazie a lui, hanno tutti qualcosa in più da sognare e da perdere. Ma per vedere un altro nome nuovo nell’albo d’oro di uno Slam, forse, ci vorrà ancora del tempo.
(Tratto da SuperTennis Magazine gennaio-febbraio 2014)
P.s. Il suo quinto successo a Melbourne, il quarto consecutivo agli Australian Open, era pagato dalle agenzie di scommesse 2,10 volte la puntata. Una quota ridicola, paragonabile a quella di Serena Williams - con la differenza che l'americana gioca da sola, mentre il serbo sarebbe il numero 2 del mondo e vivrebbe in teoria nell'epoca d'oro del tennis, circondato da una generazione di fenomeni mai vista prima. Il motivo non era sicuramente il binomio con Boris Becker (sempre sia lodato, nonostante il botulino, l'imbolsimento e l'accenno di rachitismo) né il fatto che il sorteggio avesse disegnato un tabellone nel quale Nadal, Del Potro, Murray, Tsonga e Federer si scannavano dalla stessa parte per un posto in finale. No, il motivo era semplicemente statistico: dal vivo avevo seguito quattro prove del Grande Slam, gli Australian Open 2008, 2011, 2012 e 2013. E il vincitore era sempre stato lo stesso. A maggio Roma, Nole mi aveva pure detto che in caso di necessità mi avrebbe invitato a Melbourne a mie spese.
10 commenti:
anche io ero sicuro che vincesse djokovic...epoca d'oro del tennis, questa? perchè? a parte il fatto che l'epoca d'oro del tennis è finita nel 92 col ritiro del genio...ma poi, borg connors, lendl, poi edberg, becker,wilander e poi ancora sampras e agassi...era tanto peggio?
Biondo, dal punto di vista tecnico sono d'accordo con te. Tutta la vita meglio un Becker-Edberg e pure Agassi-Rafter rispetto a sti signori qui. Ma i numeri dicono 17 Slam per quello, 13 per quell'altro, 6 per quell'altro ancora. L'imbucato scozzese non lo considero, ma pure lui non ne sbaglia una. Sicuramente c'entrano l'omologazione delle superfici e delle palle, le corde telecomandate e tutto il resto, ma un tempo Sampras all'apice della carriera perdeva contro Schaller a Parigi, oggi non succederebbe mai. Allora Rios, Kafelnikov e Moya diventavano numeri 1 del mondo e negli albi d'oro degli Slam trovavi Krajicek, Korda e Thomas Johansson e Albert Costa. Oggi invece i Fab 3 + 1 hanno lasciato alla concorrenza uno Slam degli ultimi 36 e gli avanzi nei Master 1000. Che un tempo vincevano pure Carretero, Mantilla e Pavel. Non era peggio. Ma secondo me vincere oggi è più difficile e vincere così tanto è da mostri.
com'era??? l'americana gioca da sola....bye bye serenona.
a roma djokovic si ricorderà di te....
Commentator's jinx, si chiama. In pratica 'na gufata.
Arte in cui, amerei affermare, sei un autentico Fenomeno. Vero Dario?
Ermanno
eh io t'avevo avvisato...
a parigi vince nadal.
Quindi per te la montagna australiana partorirà il solito sorcio parigino.
si. ad oggi almeno.
però l'esperto di pallacorda sei tu, io che ne so...
Sì, mi sa pure a me che a Parigi rivince il topo maiorchino. E se Djokovic non si sveglia, anche a mani basse. Paolo
Posta un commento