venerdì 28 maggio 2021

Attenti a quei due

Il tizio davanti a me era vestito di tutto punto, col blazer scuro e i pantaloni perfettamente stirati. Sembrava uscito da una seduta in Borsa o dal consiglio di amministrazione di un'azienda. 

"Strano", pensai. 

Era l'estate del 2003, e sebbene il caldo di Mosca non fosse paragonabile alla canicola che stava soffocando l'Europa meridionale, anche in Russia le temperature erano superiori alla media. Le punte massime si registravano prima del tramonto, come se in quel momento e a quelle latitudini il sole si trovasse nel punto piu' vicino alla Terra e da li' si facesse sentire in tutta la sua incandescenza. Era tardo pomeriggio e circolavano tutti in maglietta. Tutti tranne quel giovane che camminava un metro davanti a me lungo Ulitsa Ilinka, una delle strade piu' antiche della capitale russa. Un'arteria che aveva ereditato il nome dalla chiesa dedicata a S.Elia, distrutta dopo la rivoluzione. Ulitsa Ilinka brulicava di gente perche' il Paese stava vivendo uno periodo delicatissimo dal punto di vista della lotta al terrorismo.

Nove mesi prima, un gruppo di militanti ceceni aveva tenuto sotto scacco il Cremlino sequestrando 850 persone nel teatro Dubrovka. Dopo tre giorni di assedio, l'intervento delle teste di cuoio avesa rotto lo stallo ma a costi umani altissimi. L'azione si era conclusa con una carneficina, e almeno 200 persone avevano perso la vita tra pubblico e sequestratori. Un anno dopo, i separatisti ceceni si sarebbero ripetuti in modo ancora piu' velenoso e disumano in occasione del massacro di Beslan. Tra i due drammatici episodi, i ceceni non erano rimasti con le mani in mano. Piu' di una bomba era esplosa nella metro di Mosca e solo pochi giorni prima, il 5 luglio 2003, due shahidka, due cosiddette vedove nere, si erano fatte saltare in aria ad un concerto, provocando la morte di 15 russi. In quel clima, le autorita' del Cremlino avevano innalzato il livello di allerta e avevano chiuso una parte della Piazza Rossa, dove si poteva accedere solo al mausoleo di Lenin. Il simbolo meno adatto a rappresentare la Russia contemporanea, eppure ancora anacronisticamente li', nel cuore del Paese, in attesa che qualcuno si rendesse conto della contraddizione insita e trovasse il modo di censurare quell'ipocrisia. Un po' come i cinesi stavano facendo sottobanco con la figura di Mao.

L'unica via di accesso alla Piazza Rossa era proprio Ulitsa Ilinka, ed era quindi li' che si concentrava il traffico pedonale. Per uscire dalla calca mi ero incamminato lungo la sede stradale e mi ero ritrovato subito davanti quello yuppie. Di strano, quel giovane non aveva solo il vestito elegante in un torrido pomeriggio di luglio. La vera anomalia era che sotto il braccio destro portava una cartellina sottile di plastica trasparente e che al suo interno c'erano decine e decine di banconote. Dollari statunitensi.

Ero in Russia da una decina di giorni, abbastanza da cogliere la singolarita' di quel comportamento. La riflessione era ancora in fase di gestazione quando la cartellina trasparente con migliaia di dollari gli scivolo' da sotto il braccio e cadde a un passo da me. 
Ignaro di tutto, il giovane prosegui', mentre io mi fermai a pochi centrimetri dal malloppo. 
La storia puzzava.
Quando mi piegai verso la cartellina, fui raggiunto da un altro ragazzo. 
Indossava una polo azzurra e aveva i capelli chiari rasati. Si accovaccio' accanto a me, mise una mano sulla cartellina, indico' con l'altra un androne sulla nostra sinistra e in inglese disse: 
"Vieni con me, andiamo li' a spartirceli". 
La storia puzzava un altro po'.
I moscoviti erano gente scaltra. Erano abituati a vivere in un ambiente cinico e famelico, che non perdonava chi abbassava la guardia, ed erano per questo costantemente sul chi vive. Perche' mai un giovane vestito da broker esibisse senza remore e precauzioni un mucchio di contanti esponendosi al pericolo di attirare malintenzionati costituiva gia' da se' una sceneggiatura senza senso. 
Chiunque si fosse poi scientemente messo in quella posizione di rischio, tanto piu' in quella giungla piena di bucce di banana, avrebbe dovuto ancora piu' del solito drizzare le antenne. E invece quel ragazzo aveva staccato la spina, aveva lasciato andare la cartellina e poi non se n'era neanche accorto. Ne' immediatamente, ne' subito dopo.
 Il copione faceva acqua da tutte le parti. 
La figura del giovane rasato, poi, era ancora piu' inverosimile. 
Se sei un mariuolo e ti ritrovi con la possibilita' di intascare un bottino del genere, prendi i soldi e scappi, senza coinvolgere lo straniero di passaggio.  
Il quale non avrebbe neanche i mezzi per impedirtelo.
"No, io voglio restituirglieli", dissi a bruciapelo.
Il ragazzo rasato mi guardo' allibito.
"Non voglio dividerli con te, voglio ridarli al proprietario", specificai.
"Non parlo bene l'inglese", replico' lui.   
Si', certo.
Con un balzo felino, il tipetto rasato aveva raggiunto la cartellina e aveva avuto la prontezza di invitarmi a dividere i soldi dopo esserci nascosti e la lucidita' di farlo in una lingua straniera. 
Un secondo dopo pero', il suo inglese non lo assisteva nel momento in cui gli dicevo che volevo restituirli al proprietario.
Prese altro tempo e ci riprovo'.
"Vieni con me e li dividiamo" ribadi' lui, anche se era chiaro che io non avevo nessuna intenzione di imboscarmi con lui e con quel pacco di dollari.
Quella storia non lasciava presagire niente di buono.
Insistei un'ultima volta, poi lasciai perdere e proseguii, abbandonandolo nel punto in cui si era accovacciato per mettere le mani sulla cartellina.
Mi allontanai di alcune decine di metri, avvicinandomi al punto in cui la strada sbucava su Staraya Ploschad, la piazza vecchia di Mosca. A pattugliare l'incrocio c'era una volante della polizia. Per un attimo pensai di denunciare l'accaduto, ma pescando nel mio magro dizionario di russo non trovai nessun vocabolo utile per raccontare agli agenti quel teatrino. 
Un attimo prima di arrivare all'altezza della civetta, mi voltai.
Lo yuppie e il rasato erano l'uno accanto all'altro e scrutavano i miei movimenti. 
Accelerai il passo e cambiai aria.  
Chissa' cosa sarebbe successo se avessi seguito il biondo. Sicuramente niente di buono, ovviamente. Ma cosa e come? Mi avrebbe assalito approfittando del buio dell'androne? Ed eventualmente in che modo? Con una pistola, con uno spray o con un punteruolo? Avrei forse fatto la fine di Remigio? E poi mi avrebbero aggredito oppure minacciato? Magari la farsa sarebbe continuata, e il tizio vestito di tutto punto sarebbe riapparso con un poliziotto, dopo aver denunciato il furto e i tre avrebbero paventato conseguenze ben peggiori. Ma poi si sarebbero accontentati dei miei averi? Dopotutto non avevo un telefono e i contanti erano pochi. Certamente la macchina fotografica che avevo a tracolla non sarebbe salita sulla Transiberiana con me, poco ma sicuro, ma il bottino di caccia sarebbe stato magro. E allora perche' io? Cosa faceva di me una preda appetibile? Il fatto che fossi solo, ovviamente, mi rendeva piu' indifeso. Ma forse c'entrava anche il fatto che un pacco di soldi facili potevano fare da esca per un giovane squattrinato.
Mi domandai quale lezione mi avrebbe dovuto insegnare quel mancato raggiro. La risposta venne a cercarmi il giorno seguente. In mattinata mi concessi un ultimo giro in citta', dopodiche', nel pomeriggio, scesi nel ventre della stazione Lubyanka e nel piano sotterraneo entrai in un chiosco, dove acquistai gli ultimi biglietti della metro. Il soffitto era basso, ma l'illuminazione era discreta e dalle scale filtrava un po' di luce naturale. Appena misi il piede fuori dall'edicola, un ragazzo mi taglio' la strada a tutta velocita'. Veniva di corsa dalla mia sinistra e stava sprintando verso l'uscita della stazione. Scapicollandosi al punto che da sotto il braccio gli volo' una busta di plastica trasparente piena di banconote. Dollari statunitensi, per la precisione.
Poverino, vedi i casi della vita.
Il giorno prima, il beneficio del dubbio era durato tre secondi. Stavolta neanche quelli. Uscendo dal chiosco, e senza perdere il passo, diedi un calcio di mezzo esterno destro alla busta di plastica. Io piegai a sinistra mentre quella - roteando su se stessa come un verruzzo - scivolo' sul pavimento dirigendosi verso una macchinetta per le fototessere sulla destra. Il complice stavolta non ebbe il tempo di recitare la battuta. Seguendo il copione comincio' la frase "dovremmo andare a...", ma visto che tra me e i soldi c'erano gia' alcuni metri, il tizio resto' per un attimo a meta' del guado, incerto se seguire lo straniero o il denaro. Opto' saggiamente per la busta di plastica, prima che qualcuno meno prudente di me la recuperasse. Non so che faccia avesse, perche' non mi voltai neanche. Ma immaginai la sua espressione.
  
Nonostante la mafia degli scippatori si fosse coalizzata contro di me e nonostante il clima del terrore, Mosca mi era piaciuta. Non tanto per la sua architettura, anzi. Se fosse nato prima l'uovo del comunismo o la gallina del brutalismo, il risultato era comunque il medesimo. Le Sette Sorelle, poi, i palazzoni costruiti tra il '47 e il '57 in un incrocio tra stile gotico e barocco elisabettiano, erano inquietanti anche in pieno giorno e in piena estate. Nonostante questo, o forse proprio per il suo essere piu' verace che bella, m'era piaciuta piu' di San Pietroburgo, che avevo trovato monumentale ma fredda. Mosca era invece stata ruvida, anche un po' cruda, e mi aveva tenuto sulle spine persino nella sua meravigliosa metropolitana, sulla quale pendeva una spada di Damocle. Nei sei mesi successivi sara' teatro di tre attentati che provocheranno la morte di 50 persone. 
Fu anche per quello che tirai un sospiro di sollievo quando quella sera uscii dalla fermata Komsomol'skaja, la piu' splendida tra le stazioni della metro moscovita, lasciandomi alle spalle le colonne corinzie e le volte barocche dipinte di giallo con mosaici e motivi floreali. 
Prima di salire sul treno che dopo 157 fermate, 7 fusi orari e 7 giorni di marcia sarebbe arrivato a Vladivostok, dalla parte opposta del Paese, del continente e del mondo, c'erano da superare i controlli di sicurezza.  
Tutti i passeggeri furono costretti a lasciare i bagagli sulla banchina in attesa dell'ispezione, ma proprio quando mi ero separato dal fido Invicta viola, scatto' un allarme-bomba e la polizia fece evacuare la stazione Yaroslavsky. Sedetti su una panchina del piazzale antistante, senza sapere se sarei riuscito a prendere il treno e o se sarei riuscito a rientrare in possesso del mio zaino. In caso contario, mi sarei ritrovato a indossare lo stesso pantalone e la stessa maglietta per i successivi quattro giorni, fino a quando il convoglio mi avrebbe scaricato a Irkutsk.


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