Da Boten a Udomxai la strada e' spesso virtuale. Il limite e' fissato sui 30 orari, ma il problema e' avvicinarsi a quella velocita', non superarla. Mika aveva provato a convincermi che fosse una sciocchezza. Finlandese suburbano, con quelle guance rigonfie, il doppiomento, le narici larghe, il setto schiacciato e le labbra siliconate sembrava un suino albino. In realta' era soprattutto un cretino. Che nel Cloudland di Kunming mi aveva dato del quarantenne ("Sara' la barba". Si', oppure che sei un beota) dopo avermi mostrato una cartina del Laos, aver preso approssimativamente le misure della scala fra pollice e indice, allargato il compasso percettibilmente e posizionato le dita in linea retta fra la frontiera e Luang Prabang. Come se ci andassi in funicolare. "Sono 100km scarsi, ci vogliono un paio d'ore" la sua profezia. I chilometri sono 300 e le ore di viaggio 9 e mezzo. Durante le quali, fra un posto di blocco e l'altro, dalla vegetazione saltano fuori alcune bisce, parecchi camion disposti a frontali vincenti e una miriade di villaggetti identici: un pugno di palafitte col tetto spiovente di paglia, maialini che grufolano, uomini che trasportano fasci di legna sulla schiena, ragazzine con le sporte legate in fronte, donne che ruminano spighe di orzo, bambini che interrompono il gioco per correre sul ciglio a salutare il passaggio dei pickup, sciami di motorini tutti diversi, talmente piccoli che sembrano fatti in casa. E che si guidano con una mano, mentre l'altra tiene un ombrellino, una gallina o un neonato. Fra le palme e i banani le carnagioni si fanno ambrate, gli occhi si riprendono parte della forma tondeggiante, i sorrisi tornano a splendere, la quiete a regnare e soprattutto, come per miracolo, riappare il sole.
domenica 28 ottobre 2007
Paranoid androids
Da Boten a Udomxai la strada e' spesso virtuale. Il limite e' fissato sui 30 orari, ma il problema e' avvicinarsi a quella velocita', non superarla. Mika aveva provato a convincermi che fosse una sciocchezza. Finlandese suburbano, con quelle guance rigonfie, il doppiomento, le narici larghe, il setto schiacciato e le labbra siliconate sembrava un suino albino. In realta' era soprattutto un cretino. Che nel Cloudland di Kunming mi aveva dato del quarantenne ("Sara' la barba". Si', oppure che sei un beota) dopo avermi mostrato una cartina del Laos, aver preso approssimativamente le misure della scala fra pollice e indice, allargato il compasso percettibilmente e posizionato le dita in linea retta fra la frontiera e Luang Prabang. Come se ci andassi in funicolare. "Sono 100km scarsi, ci vogliono un paio d'ore" la sua profezia. I chilometri sono 300 e le ore di viaggio 9 e mezzo. Durante le quali, fra un posto di blocco e l'altro, dalla vegetazione saltano fuori alcune bisce, parecchi camion disposti a frontali vincenti e una miriade di villaggetti identici: un pugno di palafitte col tetto spiovente di paglia, maialini che grufolano, uomini che trasportano fasci di legna sulla schiena, ragazzine con le sporte legate in fronte, donne che ruminano spighe di orzo, bambini che interrompono il gioco per correre sul ciglio a salutare il passaggio dei pickup, sciami di motorini tutti diversi, talmente piccoli che sembrano fatti in casa. E che si guidano con una mano, mentre l'altra tiene un ombrellino, una gallina o un neonato. Fra le palme e i banani le carnagioni si fanno ambrate, gli occhi si riprendono parte della forma tondeggiante, i sorrisi tornano a splendere, la quiete a regnare e soprattutto, come per miracolo, riappare il sole.
mercoledì 24 ottobre 2007
Somewhere over the rainbow
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Comunque si', hai capito bene, ho detto Laos. Si', lo so che e' un deja'-vu. Si' lo so che un collezionista di timbri non rimette piede due volte nello stesso Paese, che quando e' capitato e' stato per gioventu', per necessita' o per due minuti. Ma, sai, forse c'e' solo una calamita che mi attira piu' dell'ansia di novita'. E' la possibilita' di imboccare strade cariche di simboli. Lo so, e' una penosa scorciatoia per indirizzare le scelte, un righello di metallo freddo sullo scorrere della vita, un patetico artificio che estende sul presente la dimensione mitizzata del passato. Ma ne subisco quella musicalita' che al caso, a priori, manca.

domenica 21 ottobre 2007
Lacina
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Perche' a quasi 30 anni dal varo della campagna 'Uno va bene', il titanico programma di contenimento demografico e di controllo della nascite a base di disincentivi sulla pelle degli eventuali secondogeniti, la pulce piazzata davanti alla locomotiva in corsa sta cominciando a generare i suoi effetti quantitativi - la popolazione cinese diminuira' a partire dal 2040 e il Paese perdera' il primato mondiale a favore dell'India - ma sta gia' provocando i primi scompensi qualitiativi. Un tempo fondata sul rispetto per gli anziani, la Cina e' oggi uno Stato asservito all'idolatria dei bambini. Cento milioni di piccoli Imperatori, figli unici nati all'alba del boom economico, viziati nella culla e cresciuti come spietati arrivisti laddove un tempo si onorava la famiglia e si veneravano i suoi membri piu' attempati.
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giovedì 18 ottobre 2007
L'isola che non c'è
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
Il signore che ha progettato i bus notturni cinesi e' un piccolo genio. Ha coniugato la tradizione egiziana dei sarcofagi a quella russa del tetris per ideare un acuto gioco di incastri salvaspazio. Ai piedi di ogni letto le gambe del viaggiatore si infilano in un vano rigido che fa da basamento alla testa del letto anteriore. Parecchio ingegnoso, vagamente claustrofobico e inesorabilmente a dimensione di cinesino. Io ci provo per un po' a chiudere la tibia a libretto, ma alla fine desisto. Li' non c'entro.
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"WOW, allora vieni a stare da noi!". Quando due giorni prima avevo comunicato le mie intenzioni, la replica degli Whitehead era stata istantanea e entusiasta. "P.s. Ti sei fidanzato?" No, Anthe', no... Superata la frontierina sotterranea ("Senta, onorevole doganiere hongkonghese, mi fa il favore di apporre il timbro in quell'anfratto li', che' cominciano a scarseggiare le pag... Come non detto, buona giornata") non mi rimane che seguire piu' o meno fedelmente le indicazioni: trenino fino a Kowloon Tong, metro verde fino a Mong Kok, metro rossa fino alla fermata Central e ('Buongiorno, sir tassinaro, quanto costa una corsa fino al 62 di Robinson Road? Arrivederci, grazie') scarpinata a piedi fino ai piedi del picco Vittoria. Dove arrivo zuppo. Matt e Anthea sono in ufficio, il portiere in livrea ha le chiavi di una casa minimalista e sfacciatamente sbrilluccicante. "Tenga, signor Castelle" (zitto va, che con una maglietta cosi' e' meglio nascondere l'identita'), "L'appartamento e' al trentesimo piano". "L'ascensore funziona, vero?".
Protetta da uno statuto speciale venduto al pubblico dietro lo slogan approssimativo 'Un Paese, due sistemi', a dieci anni dall'annunciato, sofferto e incompleto ritorno alla madrepatria cinese, Hong Kong resta un chicco di occidente alla cantonese. Un granello di cosmopolitismo e senso civico all'inglese nell'area piu' economicamente in ascesa del pianeta. Primo porto mondiale per traffico di navi portacontainer e prima borsa dell'Oriente, la citta' vale piu' oro di quanto pesa la sua dislocazione strategica che spinse l'Inghilerra vittoriana a cercare un pretesto per scatenare le guerre dell'oppio pur di assicurarsi lo scalo migliore per la Compagnia delle Indie. Oggi, appesa ad un limbo istituzionale e identitario, di britannico gli e' rimasta l'organizzazione del lavoro, la guida a sinistra e una spolverata di boria da centro del mondo, anche se tutto attorno c'e' il mare. Che si vede - quando va bene - salendo oltre il ventesimo piano dei grattacieli del potere economico e della finanza speculativa.


questa è Hong Kong!", mi urla una no global locale che protesta davanti alla sede dell'autorita' monetaria. In tutto sono otto. Meno dei poliziotti e degli steward che impediscono il passaggio e l'esposizione di cartelli che rivendicano la cancellazione del debito dei Paesi poveri, lo stop delle privatizzazioni dei pubblici servizi e dei progetti distruttivi per l'ambiente. Il tutto contenuto in una missiva indirizzata a mister Olaf Unteroberdoerster, il rappresentante del Fondo Monetario Internazionale residente nella suite al settantanovesimo piano del grattacielo al numero 8 di Finance Street, lo stesso dove lavora Amaury, l'enfant prodige della BNP che a ventisette anni ne ha gia' alle spalle due di esperienza a Taiwan, uno qui e soprattutto due giorni a Dunhuang con me.
"Ciao, io mi chiamo Lucky e anche tu sei fortunato" (simpatico, ammazza). Poco dopo, un cupo ragazzotto del Punjab mi avvicina mentre sto archiviando l'insostenibile leggerezza su una panchina del porto, dalla quale i contorni della penisola di Kowloon e la sagoma di quel che sara' il terzo edificio piu' alto del mondo sono sfumati dietro una foschia che peggiora col passare delle ore. "Posso sedermi?" (certo, fratello). "Tu hai un grande cuore e una splendida testa"(si', per non parlare delle qualita' nascoste). "Sono uno studente di scienze astrologiche" (medicina no, eh?). "Questa e' la foto del mio padre spirituale" (quanto costa al grammo, quella roba?). "
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domenica 14 ottobre 2007
In the mood for love
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giovedì 11 ottobre 2007
Finché la barca va
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Originato a 5300metri di altitudine da un ghiacciaio pre-himalayano, terzo solo al Rio delle Amazzoni e al Nilo, lo Yangtze scorre per 6380 chilometri, bagna una dozzine di province, fertilizza 2milioni di km quadrati di campi e sfama (e in qualche caso disseta) quattrocento milioni di persone. In un continente che ha sempre eletto i suoi fiumi a vie di comunicazione privilegiate con l'aldiqua e l'aldila', l'agnostico Chang Jiang trasporta 100mila navi, raccoglie gli scarichi fognari di 40 citta' e quelli industriali di 400 fabbriche e riversa nel Pacifico 3 miliardi di tonnellate di acque putride. Ogni anno. Eppure sa fingersi placido, innocente e persino immacolato quando le sue acque color smeraldo si insinuano fra le tre silenziose gole minori e si distendono fra le tre maggiori, a tratti squarciate da raggi di sole. In realta' l'inghippo e' appena piu' a valle, alle porte di Yichang, dove l'ingegneria ha sposato la megalomania per piegare la natura alla sete di energia idroelettrica. Con un fronte di due chilometri e un'altezza di 300 metri, l'imperiosa diga delle tre gole verra' completata nel 2009, sara' il doppio di quella di Assuan e con le sue turbine produrra' l'energia di una quindicina di centrali nucleari, altrimenti necessarie per trainare lo sviluppo dell'entroterra agricolo. Costera' 60 miliardi di euro - ma una nazione che risparmia sulla schiuma da barba e sui pannolini per bambini se li puo' permettere - e intanto e' gia' costata la casa a due milioni di abitanti delle sponde del fiume, sfrattati con le buone o costretti con le cattive. Il livello dello Yangtze infatti si sollevera' per 550km, sommergera' 8000 siti di interesse storico e archeologico e ha gia' cominciato a ridisegnare la mappa della regione, inghiottendo 1500 fra citta' e villaggi e facendo scomparire parte della fauna - come il delfino d'acqua dolce - teoricamente protetta e oggettivamente inadatta a sguazzare nella piu' grande latrina del mondo. Ma oltre all'impatto sul martoriato ecosistema, qualche protestuccia degli ambientalisti e un lieve ma inevitabile depauperamento del fiume a valle ("qui l'acqua la purifichiamo e la beviamo" mi ha detto nella stazione di Wuhan un ricercatorte universitario, mentre un pupo ci faceva la pipi' e la pupu' sui piedi), la diga dovra' soprattutto contenere il peso dei liquami artificiali, del fango e dei detriti trascinati dal fiume. Una valanga da 530 milioni di tonnellate annue che ha gia' costretto i progettisti ad inventarsi un sistema di prefiltraggio con contrafforti autopulenti la cui efficacia sara' l'ulteriore scommessa della piu' grande costruzione dell'uomo dai tempi della muraglia. Dal 1949, anno della fondazione della Repubblica Popolare di Mao, in Cina sono crollate 300 dighe. E se qualcuno pensa che quello era un altro Paese, prima o poi dovra' finire per ammetterlo.
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n.b. A beneficio degli amici della censura di Pechino, ci tengo a sottolineare che ovviamente questo post e' stato redatto da un mio ignoto amico. Del resto, essendo questo blog inaccessibile come altri 2000 siti internet, come avrei potuto aggiornarlo personalmente dalla Cina? D.C.
mercoledì 10 ottobre 2007
Di tutto... di più!
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Molti di voi avranno sicuramente dato un’occhiata o installato quella straordinaria applicazione chiamata Google Earth... ancora no? Fatelo ora! Basta cliccare sull’icona qua sotto per scaricare la versione attualmente disponibile in rete:
Dopo l’installazione sarà necessario effettuare il download del file (dariodiviaggio.kmz) che vi permetterà di visualizzare a volo d’uccello il percorso e le tappe raggiunte dall’ottimo Dario attraverso le mappe satellitari di Google. Anche per questo… sarà sufficiente cliccare sull’icona in basso:
Dopo il click si aprirà una finestra di dialogo attraverso la quale sarà possibile eseguire direttamente l’applicazione o salvare il file sul proprio pc per una successiva esecuzione.
Una volta aperta la schermata di Google Earth, nella colonna di navigazione posta a sinistra, nella sezione Luoghi, comparirà la cartella Luoghi temporanei e il file dariodiviaggio.kmz… basterà espanderla con un doppio click per visualizzare tutte le tappe e dare avvio all’esplorazione… il resto verrà da sé.
Ed ora qualche utile consiglio per una ottimale navigazione all’interno del tour. Impostare attraverso il menù orizzontale di Google Earth i seguenti parametri:
- tramite l’opzione Visualizza: selezionare Barra di stato+Planisfero+Atmosfera
- tramite l’opzione Strumenti selezionare Opzioni>Esplorazione: de-selezionare “Mostra fumetto…” e impostare il parametro “Pausa tour” al valore 1.0
Nella colonna di navigazione a sinistra, sotto la sezione Livelli: de-selezionare tutto tranne Luoghi abitati.
L’attivazione di queste semplici funzioni contribuirà a rendere la navigazione più snella e veloce evitando il caricamento di molte funzioni complementari offerte dall’applicazione.
Sarà sempre possibile scaricare il file dariodiviaggio.kmz attraverso il menù del Blog e lo stesso sarà tenuto aggiornato, compatibilmente alle notizie inviateci da Dario.
L’attuale percorso è stato desunto cronologicamente dalle località menzionate nei singoli post ed è pertanto suscettibile a variazioni successive ad opera dello stesso Dario e di noi tutti.
Buon volo!
venerdì 5 ottobre 2007
Sweet dreams (are made of this)
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Per farla breve anche a Xi'An ballo da solo.
Mille anni fa, quando l'insediamento era chiamato ancora Ch'ang An, dalla porta di Giada si mettevano in marcia le carovane dei mercanti che sfidavano il Taklamakan, rischiando a sud - Golmund, Hotan - la siccità, e a nord - Dunhuang, Turpan, Kucha - le scorribande dei cavalieri nomadi, sulla strada verso l'oasi di Kashgar. Da dove tentavano di valicare il Pamir e il Tian Shan per poi sostare a lungo nelle ricche città di Osh, Khokand, Samarcanda, Bukhara. E Merv, oggi in Turkmenistan, che prima di essere sbriciolata da Gengis Khan era abitata da genti che parlavano 17 lingue e professavano tutto il professabile: cristiani e musulmani, ebrei e buddisti, confuciani e zoroastriani. Perché oltre a far conoscere all'Oriente i metalli e le pietre preziose, il vetro colorato, la lana e il vino, e all'Occidente la porcellana, le spezie, il thè e quel tessuto lucente, morbido e resistente, la via della Seta fu un efficace canale per la trasmissione di scienze e tecnologie, per il confronto delle idee, per la condivisione delle arti e delle credenze. Superati i deserti dalle sabbie rosse, ai commercianti non restava che aggirare il Caspio e piegare verso la Persia, Baghdad e Aleppo per puntare verso i porti del Mediterraneo come Antiochia, o attraversare il Caucaso per imbarcarsi dai moli del mar Nero, come Trebisonda, o scheggiare l'Anatolia fino ad Istanbul. Forte del suo glorioso passato di capitale e protetta da una massiccia cinta muraria di dodici chilometri, oggi Xi'An ha conservato un'impronta che nelle altre metropoli cinesi le ruspe hanno abbattuto nel volgere di qualche notte. Due pagode, altrettante torri, il quartiere islamico con la moschea e quell'indicibile accozzaglia di chincaglieria contraffatta che può essere solo un mercato, musulmano, notturno, in una città, di sette milioni di abitanti, cinesi. Dal poggia-bacchette designed in Italy ai valigioni Samsonite, tra i vicoli si trova di tutto. E di originale spesso non ci sono neanche le banconote. In un posto così, di memorabile c'e' anche la coda da selezioni del Grande fratello per salire sul bus numero 5306 con destinazione l'esercito di terracotta, l'incredibile fatica realizzata ventidue secoli fa da anonimi scultori a protezione del sonno eterno di Shin HuangDi, capostipite della dinastia imperiale dei Qin (che si pronuncia Cin...), il primo condottiero a sbaragliare la concorrenza dei feudi rivali e ad unificare il Paese. Circa settemila soldati, tutti diversi, dalle acconciature alle armature, dai baffi alla scanalatura delle suole, disposti coi loro cavalli (e, prima che venissero trafugate dai tombaroli, con lance e balestre) a protezione del sepolcro del Primo Imperatore.
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Poi la sera mi tocca tornare allo Xiangzimen, l'ostello a due passi dalla porta meridionale con la sua squadra di ragazzine tuttofare venute dalla campagna per 80 euro al mese, i due ritratti politicamente necessari di babbo Zedong, la sveglia suonata con lo zufolo degli Intillimani che c'entra come i cavoli a merenda, il biliardo, il maxischermo, la serata ravioli al vapore, i poster dei calciatori inclinati di 10 gradi perche noi giovani siamo anticonformisti, la colazione a base di bacon e uova strapazzate, le Heineken, i tavoli di legno modello irish pub, le lanterne rosse che fanno etnico, la new generation sino-glamour alla prova dell'anglosassone sbarbato e i muri da inzaccherare con frasi tipo se per il mondo non sei nessuno per qualcuno sei il mondo. In questa fucina di futuri laburisti ma non troppo, la musica è affidata al ciuffo biondo e al database da tremila brani di Patrick. Senza spremersi troppo le meningi, ma almeno omettendo 'ndarare 'nderera, otto anni fa ha scritto il testo di Promised Land, la hit house con la quale lui e i suoi Typhoon hanno venduto 300mila singoli salendo al primo posto delle classifiche in Spagna. "All'epoca non lo sapevo, ma ero giapponese dentro". Cosi', messo via il sintetizzatore, Patrick s'è trasferito a Kobe, dove a 34 primavere lavora come ragazzo alla pari presso una facoltosa famiglia tedesca. Per il momento insegna olandese al rampollo, ma domani aprirà un ristorante belga. Dice che ce l'ha dentro.
Ps. Con la dipartita di Stephanie, per la 209 passano un paio di coppie simpatiche, Tetsuya con i suoi raggi fotonici e infine un bavarese, ingaggiato da una ditta di Shanghai per esportare un po' del know-how teutonico in materia di impianti fotovoltaici e energie pulite. Volker è una persona a modo ma ha un difetto. Passi che mi chiama Tario, passi che mi pone un sacco di domande e passi pure che si rivolge a me alzando minacciosamente la voce. Ma che lo faccia mentre dorme è francamente troppo. Se non scappo a Cheng Du, una notte di queste mi prende un coccolone.
lunedì 1 ottobre 2007
Invito a cena con delitto
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In questo mega ponte, di ostico come salire su un treno c'è solo l'acquisto di un biglietto. La coda è burrascosa ma rapida, perché una volta conquistato il plexiglass hai 20 secondi per realizzare che la lingua parlata é inservibile, per comunicare alla signora in divisa dove vuoi andare e quando vuoi partire e per farle capire che siccome c'è il tutto esaurito anche un sedile duro quando dice lei va bene, prima che un'alitata alla nocciolina piccante ti scaldi la basetta. Indica che quello dietro ti sta per scavalcare. Kashgar, Turpan, Dunhuang e dintorni. In una settimana abbondante, al ritmo di un bancomat vanamente interpellato e di un francese al giorno, attraverso lo Xinjang, il turkestan orientale, la provincia più estesa e più autonoma del Paese, dove nessuno sa con esattezza a che ora è la fine del mondo e dove la maggioranza turcofona uigura trasmette alle città connotati mediorientali, con centri storici simili a medine, volti e zucchetti mediterranei, indicazioni stradali in arabo e tanto di tv locale. Seduto sui miei angusti seggiolini non mi perdo un centimetro del Taklamakan, un deserto grande come l'Italia e la Svizzera messe insieme, con una pletora di compagni per poche ore visito il minareto di Emir, le preziose grotte buddhiste di Mogao, le montagne di sabbia che cantano, il lago della luna crescente, la pagoda della grande e della piccola oca selvatica, le montagne fiammeggianti, la dagoba (sarebbe?) del cavallo bianco, e faccio pure la conoscenza della signora Zhou, una pensionata cinquantanovenne che col suo cognome pesante e la sua biciclettina da passeggio da 5 anni pedala una croce sull'Impero di Mezzo, dalla Manciuria al Tibet prima, dal nord-ovest all'isola di Hainan adesso. Tutto più che discreto, tutto più che organizzato, tutto più che pronto per fare della Cina la prima destinazione del turismo mondiale entro il 2020.
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